MOGWAI, The Hawk Is Howling (Wall Of Sound / PIAS, 2008)

Ci bastava “Mr.Beast” e invece no. Dopo soli due anni dall’ottimo album con cui – accorciando tempi e passaggi nelle peculiari suite – avevano scacciato i primi sentori di un certo manierismo minacciosamente apparsi nel precedente lavoro, nel sesto inatteso lp della carriera gli highlander del post-rock in un certo senso stupiscono ancora, ritornando al passato. Si fotta dunque l’avvicinamento alla forma canzone e con essa le voci e le pretese di concisione: “The Hawk Is Howling” si manifesta senza compromessi in settanta minuti di musica diluiti in dieci tracce.
Unici episodi ancora legati all’esperimento “minimalista” di “Mr.Beast” il fugace ambient in chiave western di “Local Authority” e l’alienante “Batcat” che non ha nulla da invidiare alla furia da unici eredi dei Bardo Pond già emersa fragorosamente nel sabba di “Glasgow Mega-Snake”.
Per il resto basta ascoltare il pezzo d’apertura “I’m Jim Morrison, I’m Dead”, indiscutibilmente uno dei titoli più geniali della storia della rock (contraltare a una delle copertine probabilmente più inguardabili mai realizzate), che segue le orme dell’album più discusso, “Happy Songs For Happy People”, una sorta di “Kids Will Be Skeletons” in versione terrena. Piano solitario, impercettibili meteoriti di effetti e riverberi su cui piovono i granitici fendenti di Cummings e Braithwaithe. Sulla stessa scia “Kings Meadow” con i suoi abbaglianti vibrafoni di sfondo al cadenzato giro di chitarra e l’inedito post-rock sinfonico/ambientale di “Thank You Space Export”, ideale ponte tra Scozia e Islanda. Non tanto per l’analoga rievocazione di panorami di suggestiva desolazione, quanto per determinate soluzioni non così lontane da Mùm e Sigur Rós.

Ritorno al passato, si diceva. Senza dimenticare che nel “passato” precedente allo scioccante episodio che Alan McGee aveva definito il miglior album a cui aveva lavorato dall’uscita di “Loveless” dei My Bloody Valentine, si erano lasciati sedurre da sottili venature elettroniche per variare una formula, quella del post-rock, che all’inizio del decennio sembrava ormai aver detto tutto. Così la malinconia psichedelica di “Daphne And The Brain” pare quasi remixata dai connazionali Boards Of Canada con stridori shoegaze tracciati da latenti incursioni IDM, in parte riproposte in apertura e chiusura dalla sorprendente “The Sun Smells Too Loud”, primo vero sprazzo di luce e ottimismo, al di là del titolo sinestetico. Ritmica quasi sincopata, giro di chitarra romantico e compiaciuto, tutto troppo rassicurante per sembrare opera dei Mogwai.
Ma niente paura, “I Love You, I’m Gonna Blow Up Your School” ci ricorda di quello che erano e sono capaci di fare. Introduzione introversa con intrecci di chitarra eleganti e sinistri, graduale crescendo, esplosione smorzata, nuovo rallentamento e salto nel vuoto conclusivo in annebbianti tempeste di distorsioni orchestrate da una base ritmica straripante. In “The Precipice” rinunciano persino al rallentamento risucchiandoci senza speranze in una supersonica apocalissi alla loro maniera.

Le soluzioni non stupiscono più, dopo dieci anni e passa di carriera, ma sembrano ormai gli unici in grado di riproporre determinati cliché del filone, dipingendo delle atmosfere così emozionanti e avvolgenti da non lasciare mai indifferenti.
Su tutte la protesta contro la patria dei cinque tifosi del Celtic (o semplice invettiva calcistica contro i rivali protestanti del Rangers Glasgow?) dal titolo “Scotland’s Shame”, splendida marcia post-rock perfetta sintesi delle inimitabili sonorità che dal capolavoro “Young Team” li hanno resi inconfondibili.
Non ce ne voglia James McMillan, il musicista che nel 1998, dopo aver composto la fanfara eseguita in occasione della riapertura dopo 291 anni del parlamento nazionale, in un discorso intitolato La vergogna di Scozia denunciò il settarismo anti-cattolico ancora vivo nella società scozzese, ma, se è vero che la Scozia non ha un inno ufficialmente riconosciuto, a me piace pensare che sia questo. Magari con tanto di cornamuse introduttive, unicamente a titolo di compromesso.

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