JOSEF K, Entomology (Domino / Self, 2006)

Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., perché senza che avesse fatto niente di male, una mattina fu arrestato (Franz Kafka, “Il processo”)

Alzi la mano chi non ha mai sentito parlare di Franz Kafka. Bene, bene… alzi ora la mano chi non ha idea di chi siano stati i Josef K. Come, così tanti? Scherzi a parte, appare più che meritoria la scelta operata dalla Domino di dedicare un cd antologico ai Josef K, band di Edimburgo che si mosse a ridosso dei primi anni ’80 in territori abitati dal post-punk, dal rumorismo, senza disdegnare geometrie pop decisamente in anticipo sui tempi. Furono tutt’altro che fortunati in vita i Josef K (ben due album registrati e rimasti senza pubblicazione fino allo scioglimento della band, “Sorry for Laughing” e “The Only Fun in Town”) eppure è netta la sensazione che uscissero oggi i loro lavori sarebbero a dir poco idolatrati.

Figli tanto della wave newyorchese (chi non sente i Talking Heads alle spalle di un brano come “Drone” farebbe meglio a fare un salto dall’otorino) quanto dei Velvet Underground, per non parlare di punk, pop, soul, dark e funky, i Josef K furono capaci di sprigionare piccole gemme che raramente superavano i tre minuti di durata: un concentrato melodico eppure sanamente energico, sedotto dal lato oscuro, dal rumore, dai feedback, dove le linee di basso disegnano traiettorie angosciose e la musica si muove su percorsi laterali, deviati, pieni di curvee e anse.

Realmente difficili da collocare all’interno della musica britannica dell’epoca – non erano propriamente post-punk, non erano propriamente synth-pop, non erano propriamente nulla -, i Josef K sarebbero da inserire in quella rara fetta di gruppi che ebbero l’unica colpa di avere contro di loro la dea bendata: diventarono subito di culto, ma avrebbero potuto incidere sul mercato internazionale con una forza devastante. Avevano dalla loro l’irruenza, la sapienza musicale, l’intelligenza, quel vago sentore di snobismo intellettuale che avrebbe reso intoccabili gli Smiths (e Morrissey ascoltò più di una volta la loro “Chance Meeting”), eppure non sfondarono mai.

Perfezionisti fino all’eccesso, i Josef K fallirono senza aver realmente mai fallito un colpo: ironia della sorte, crudeltà della storia, chiamatela come vi pare. Ma se non li conoscete reperite “Entomology” e rifatevi le orecchie: qui dentro c’è tutto quello che serve, i lavori in studio (oltre ai due postumi già citati, impossibile non innamorarsi al primo ascolto dei singoli) e le Peel Session del 1981. Ventidue brani per rendere giustizia ai Josef K e alimentarne il culto: un’occasione da non perdere.

Nel frattempo il direttore, che casualmente o, cosa più probabile, per uno speciale riguardo nei confronti di K., si era chinato su un giornale, adesso sollevò gli occhi anche lui, alzandosi tese a K. la mano e, senza fargli altre domande, gli augurò buon viaggio (Franz Kafka, “Il processo”)

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