WALKMEN, A Hundred Miles Off (Talitres / Wide, 2006)

Devo capire perché questo disco piace a tutti. A Benicassim gli inglesi con cui ho avuto occasione di parlare dicevano di essere venuti qui soprattutto per loro. I colleghi mi han detto che sono fichissimi e addirittura Luca Vecchi, nel segnalarmi il disco, mi scrive “Fico” su un post-it. Ok. A Benicassim li ho visti, i Walkmen. E mi sembravano un tentativo nemmeno troppo riuscito di coniugare la solita musica che si sente in giro di questi tempi con un cantato un pochino più enfatico. Forse avevo le orecchie piene di merda, perché ad ascoltare “A Hunderd Miles Off” sembra una band completamente diversa.

Ma andiamo con ordine: i Walkmen si formano del 2000 dallo split di due band, i Jonathan Fire*Eater e i Recoys, il cantante si chiama – oh! – Hamilton Leithauser e questo è il loro terzo disco (il sempre attento AllMusic mi segnala un “Pussy Cats” uscito un mese fa da considerare quarto disco… mah!) e non c’entra assolutamente niente con quello che credevo di aver sentito a Benicassim. Siamo, infatti, dalle parti di un rock molto sui generis, ispirato da un po’ di garage revival – soprattutto White Stripes – e da molta di quell’enfasi un po’ vetusta da buon vecchio rocker che trova successo solo per gente come Greg Dulli. E non è un nome fatto tanto per, visto che il tono di Leithauser si avvicina di molto all’ex Afghan Whigs. Altro punto in comune è la totale incapacità di azzeccare una melodia: “Gentleman” e “Congregation” non le hanno, buttano tutto sulla potenza, sulla rabbia, sul carisma. Un rock passionale e “di pancia”. Ed è esattamente quello che vogliono fare i Walkmen. Che poi, per carità, fico è fico, ma non riesce proprio ad esaltarmi. Non capisco. Ci sono le chitarre, c’è il casino, c’è la voce da vecchio rocker che tanto ci piace e invece niente. Lo ascolto. E’ bello da ascoltare. Lo ascolto ma non lo amo. Sarà un problema mio? Nel dubbio, fidatevi di chi vi dice che questo è un album della madonna.

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