PEDRO THE LION, Achilles Heel (Jade Tree, 2004)

David Bazan torna sulle scene, dopo aver sorpreso tutti grazie allo splendido “It’s Hard to Find a Friend”, essersi confermato con “Winners Never Quit” e aver iniziato a mostrare maledettamente la corda nel pur buono “Control”. Ennesimo One Man Band a cavallo tra due millenni – come Pajo/Papa M, Merritt/Magnetic Fields, Elvrum/Micophones, Oldham/Palace -, Bazan ha dalla sua un gusto per la lirica capace di mescolare malinconia e bizzarrie varie, minimalismo e pathos. Il tutto seguendo le direttive sonore che hanno fatto la fortuna di Will Oldham (o Palace, o Palace Bros., o Bonnie Prince Billy o come diavolo volete chiamarlo).

Per tracciare le linee musicali a lui consone bastano chitarra, basso, batteria e un synth, nessun altro orpello è necessario, nessun accumulo di suoni ricercato. L’indolenza sembra il carattere peculiare di questo ultimo lavoro, esplicitato dall’incedere caracollante di “Bands with Managers”, dalla delicata ballata “Arizona” e soprattutto dalla conclusiva pace acustica di “The Poison”. Altrove l’irruenza rock si fa largo tra le maglie, anche se sempre in maniera molto discreta: è il caso di “The Fleecing”, che partita su note ossessive e martellanti va via via addolcendosi, fino a trasfigurare il rock nella faccia distorta della sua solita indole.

L’album procede tra perfetti esempi di pop contemporaneo (“Discretion”), ritmiche avvolgenti e catartiche (il basso sinuoso che gestisce la struttura di “Keep Swinging”, violato nel suo dominio dalle sporcizie della chitarra elettrica), viaggi siderali compiuti nella malinconia dell’eterna solitudine (“I Do”, perla luccicante dell’intero album) e pacificanti ballate elettro-acustiche, apparentemente sorridenti e trascinanti (“Start Without Me”). Anche se è impossibile non rimanere stregati soprattutto dalla lingua sferzante di Bazan, capace di regalare se stesso con un’innocenza e una purezza tali da far sentire l’ascoltatore quasi in colpa, come se stessimo un po’ tutti rubando segreti e confessioni a questo ragazzo.

E quando ci si trova davanti a brani come “Transcontinental” e “A Simple Plan” c’è addirittura il rischio di commuoversi. Perché è vero che l’originalità del progetto continua a perdere colpi, chiusa ormai in un cerchio che non prevede sterzate improvvise, ma è altrettanto vero che la classe mostrata in questo lavoro è veramente cristallina. E se non vi basta neanche questo è sempre pronta la sincerità straziante e dolce del Bazan-pensiero. E se questo è il suo tallone d’Achille, bè…allora…

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *