VALENTINA DORME, Capelli rame (Fosbury Records, 2002)

Una fotografia. Un’immagine fuori fuoco, ma di intensità straziante. Guardarla riporta alla mente storie, brandelli di vita che continuano a far male: una malinconia rabbiosa che non accenna a placarsi, i rimpianti per tutto ciò che avrebbe potuto essere.

Ascoltare “Capelli rame”, primo disco ufficiale dei Valentina Dorme dopo dieci anni di album autoprodotti venduti ai concerti, dà le stesse sensazioni; non c’è luce, in queste dodici canzoni, solo le atmosfere immobili di ricordi brucianti che affiorano.
Poesia elettrica, cuori sanguinanti, chitarre rumorose e avvolgenti, parole che restano sospese nell’aria e che sanno di fare male. Lei se n’è andata, lei non tornerà indietro: “ho smesso di occuparmi un quarto d’ora al mese di te” canta dolente in “Tredici”, mentre un violino danza come un corpo in una stanza vuota; “e dire che avresti un altare/ di lino e seta/ anche se non ti servirà un granché/ avresti me/ le mie gelosie intatte” nella stupenda “Nove nuovi amanti”.
Nervi tenuti sotto controllo a stento, sul punto di esplodere nell’incedere sincopato alla One Dimensional Man nella inquietante fantasia di “Una colt” (“avere avuto una colt/ non averla caricata a salve/ aver avuto una colt/ le munizioni necessarie/ a invertire il finale”). L’abisso cupo di un amore che finisce (“la nostra eclissi/ tra le eclissi/ è la migliore/ perché/ non è affatto parziale”), il rimpianto che si trasforma in rabbia nella furiosa coda di “Vanessa”.

Le atmosfere di questo “Capelli rame” non si distendono per nemmeno un momento, e a lungo andare alcuni episodi sembrano troppo autocompiaciuti nella voluta ricerca della poesia dark di cui sono intrisi; ciò non toglie che alcune canzoni siano davvero di una bellezza straordinaria (le già citate “Nove nuovi amanti”, “Vanessa” e “Una colt”, ma anche “Prova generale” e “Claudia Cardinale da giovane”), e livelli poetici del genere sono ormai rarissimi nel rock d’autore, a qualsiasi latitudine.

Per chi è rimasto orfano dei Massimo Volume e di De André, e per chi continua a credere che possa e debba esserci poesia nel rock, i Valentina Dorme saranno davvero una folgorazione. Cupa, triste, dolorosa. Ma pur sempre una folgorazione.

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