BLUNOA, L’importanza di essere imperfetti (autoprodotto, 2002)

Stupisce, e non poco, che dopo anni e anni di gavetta e di ottimi riconoscimenti con il nome di Gemini, i parmigiani Blunoa abbiano dovuto autoprodursi il loro disco d’esordio.

I quattro, in possesso di una gran tecnica strumentale, sono autori di un rock in bilico tra i suoni indie USA degli anni ’90 (i Primus, il grunge e le sue evoluzioni), coniugato con la sensibilità melodica e testuale di importanti band italiane (Massimo Volume, Afterhours, Marlene Kuntz), e queste undici canzoni meritano davvero di essere ascoltate (il disco si può ordinare dal sito ufficiale www.blunoa.it).

In verità “L’importanza di essere imperfetti” fatica a decollare, troppo irrigidito come pare all’inizio su un’unica struttura, fatta di distorsioni, un bellissimo basso che davvero non fatica a guadagnarsi spazio all’interno delle canzoni, testi che insistono su solite istantanee di disagio urbano e di relazioni difficili e linee vocali non troppo originali; così le prime cinque canzoni scivolano via in fretta, senza lasciare troppe tracce.

Ma dalle aperture melodiche di “Onde di pensieri” tutto inizia a girare per il meglio: i testi si colorano di suggestioni nuove (“Chi ha rapito il sole, chi?/E chi libererà la luce?/ Ora, cara sono qui/ Qui per rimanere”), e anche a livello di suoni i Blunoa cominciano a mostrare tutte le soluzioni di cui sono capaci, a partire dalla bella melodia di tastiera che chiude la canzone.

La successiva “p.i.c./dogma” è, al contrario, un vero pugno in faccia, tra chitarre cattive e la voce che trasforma il testo in una filastrocca perversa; “odio fermarmi ai semafori rossi” sembra quasi una outtake di “Club privé” dei Massimo Volume (difficile, del resto, recitare un testo in un brano rock senza essere paragonati automaticamente al disciolto gruppo bolognese…); “tutto quello che sei”, forse l’episodio migliore, adagia un bel testo su un tappeto di chitarre aeree e avvolgenti, mentre gli ultimi due brani, soprattutto “giugno”, fa pensare ai Marlene Kuntz più evocativi.

In definitiva “L’importanza di essere imperfetti” è un buon esordio, e stupisce sinceramente come il gruppo non abbia trovato nessuna casa discografica interessata alla loro musica…qualcuno vorrà rimediare?

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