JETHRO TULL, Live Bursting Out (Chrisalis, 1978)

Un doppio album dal vivo per più versi fondamentale al fine di capire veramente la musica dei Tull, il suo stile e le ragioni del suo successo. Se da un lato questo live giunge stranamente tardivo, dall’altro si giova proprio del suo ritardo per offrire una interessante panoramica della lunga strada fin lì percorsa. In altre parole possiamo utilizzarlo come riepilogo di tutto quanto siamo venuti mano a mano dicendo riguardo alla band di Ian Anderson. Del resto è lecito a questo punto guardare indietro con sicurezza al percorso che ci siamo lasciati alle spalle: quello ancora da intraprendere, e di cui daremo qualche saggio, costituisce argomento di scarso interesse.

Se ancora qualcuno avesse dubbi nel riconoscere continuità di ispirazione a Ian Anderson, si ascolti i due dischi l’uno dietro l’altro: siamo certi che rimarrà convinto. La dimensione live (adeguatamente resa dalla registrazione) sottolinea ulteriormente come la struttura musicale si basi sullo schema chitarra-basso + flauto. La sequenza “No Lullaby”-“Sweet Dream” è a questo proposito rivelatrice: la prima canzone, piuttosto riuscita già in origine, suona anche meglio; la seconda (appartenente al primo periodo) appare ancora più grande. Ambedue – pur divise da un buon numero d’anni – sono testimoni di uno stile non altrimenti definibile che come ‘stile Jethro Tull’. Non c’è alcuna frattura stilistica, nemmeno con quello che viene dopo: “Skating Away”, “Jack in the Green” (da “Songs from the Wood), “One Brown Mouse” e compagnia bella; compresa “A New Day Yesterday”.

Siamo immersi nell’habitat ideale per apprezzare un bel pezzo di storia del rock, con pochi orpelli e senza certe sovrastrutture proprie delle incisioni in studio. A parte “Too Old…”, che a scorno del positivo alleggerimento non riesce a sollevarsi dai bassifondi, tutto il resto è sufficiente a spiegare all’ascoltatore il perché, nonostante risultati non sempre del medesimo livello, i Tull siano stati (o meglio sono) una delle più grandi rock-band di sempre; e il perché, aggiungiamo, Martin Barre sia uno dei grandi artisti del suo strumento. A riguardo segnaliamo una curiosità come “Conundrum”, atipico e appassionante brano strumentale per chitarra elettrica firmato da Barre e Barlow.
“The Dambusters March”, inserita nel finale di “Locomotive Breath”, è opera del compositore inglese Eric Coates (1886-1957) e rientra a pieno titolo nell’àmbito della passione britannica (e dei compositori britannici) per le marce pompose. “Quatrain” è un altro breve strumentale estemporaneo di Barre. “Thick as a Brick” è ovviamente in forma riassuntiva. “Hunting Girl” è la quarta traccia di “Songs from the Wood”.

Bella prova – e qui chiudiamo – dello sfortunato Glascock, che a fine anno dovrà ritirarsi per disfunzioni cardiache: morirà l’anno successivo dopo una operazione a cuore aperto.

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