BREEDERS, Title TK (4AD, 2002)

Le sorelle Kim e Kelley Deal hanno impiegato un tempo considerevole per dare il seguito all’ultimo lavoro delle Breeders, “The Last Splash”, datato addirittura 1993. Nove anni, un’eternità nel mondo della musica popolare, passati a tenere insieme un gruppo che ha rischiato di non esistere più e a risolvere i problemi con le droghe di Kelley. In tutto questo tempo l’unica traccia del talento dell’altra sorella, Kim, fuoriuscita da Pixies perché oscurata dal genio di Black Francis, è stato un adorabile dischetto a nome The Amps del 1996 intitolato “Pacer”. Nel frattempo al fianco delle sorelle Deal sono arrivati Mando Lopez e Richard Presley dei Fear. Tante differenze hanno pesato ed alla fine anche la musica è cambiata.

“Title TK” infatti è un disco scontroso, in cui gli spigoli non vengono mai smussati e restano ben aguzzi, in cui i suoni sono scarni. Non sorprende quindi che a registrare il tutto sia stato chiamato Steve Albini, un maestro quando si parla di essere essenziali. Suoni in bassa fedeltà e brani poco rifiniti, quasi abbozzati, da cui appaiono schegge melodiche incantevoli, come lascia intuire l’apertura di “Little Furry”, che dietro l’indolenza di un ritmo che sembra non voler partire, nasconde una melodia deliziosa.

Del resto dai Pixies alla Breeders il segreto è sempre stato questo: grandi canzoni rese attraverso suoni aspri e taglienti, frantumate e poi ricomposte. Qui i pezzi migliori, quelli che mostrano quanto ci sia mancato il talento di Kim Deal, sono proprio quelli in cui tutto questo riesce alla perfezione.

E infatti, a dispetto di qualche deviazione come l’intrigante atmosfera psichedelica di “The She”, sorretta dal suono di un organo anni ’60, o dalla scarna ballata “Off You”, le cose che colpiscono di più stanno altrove. Sono il vigore delle chitarre di “Son of Three”, il caracollare veloce alla Pixies di “Full on Idle”, già registrata da Kim Deal con gli Amps, e “Too Alive”, con le sue splendide armonie vocali e i suoi continui cambi di ritmo. Tutte mostrano i segni della canzone e pop sporcata e torturata, come è anche per la conclusiva “Huffer”, ossia il momento in cui si sposano come mai tra queste tracce una melodia vertiginosa e i suoni ruvidi delle chitarre. La speranza a questo punto è di non dover attendere altri nove anni per poter ascoltare canzoni come questa.

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