SYD BARRETT, Barrett (Emi Harvest, 1970)

Secondo e purtroppo ultimo capitolo della discografia del Grande Cappellaio Matto della musica inglese. La produzione è affidata al vecchio amico e sostituto nei Pink Floyd, David Gilmour. Sulla falsariga del precedente e soffertissimo “The Madcap Laughs”, “Barrett” è un collage assolutamente strambo di canzoni capricciose ed originali, in bilico perenne tra folk e psichedelia. Bilico reso ancora più sottile e pericoloso dall’andamento sempre imprevedibile dei pezzi, sottoposti dall’instabile Syd ad un andamento ondivago, senza un’apparente spina dorsale che li sorregga. Anche le composizioni più fruibili e “commerciali” come “Baby Lemonade” e “Gigolo Aunt” (autentici capolavori) presentano improvvise deviazioni – frutto di visioni in acido – che lasciano di stucco l’ascoltatore, per non parlare di deliri psichici come “Rats”, “Maisie” o “Wolfpack”.

Assolutamente memorabili la saltellante “Love Song”, una sorta di “The gnome” interpretata per un pubblico da saloon, e la lentissima, indolente “Dominoes”, una canzone che scappa continuamente di mano come un’anguilla. I suoi cambi di ritmo sono figli della noncuranza dell’artista, ormai perso in veri viaggi interstellari, per la disperazione del povero drummer, Jerry Shirley: dopo diverse rullate a rincorrere la mente di Syd, Jerry trova pace in un finale ai confini del free jazz, geniale e discretamente avantgarde.

Dopo “Barrett”, come già accennato, il silenzio. “Lucy In the Sky With Diamonds” (aka LSD) se lo porta via alla tenera età di 24 anni, ed il suo ritiro nella nativa Cambridge presso la madre non farà che aumentare l’alone mitico intorno alla sua figura. Spesso si udiranno voci su un suo possibile ritorno discografico, ma saranno sempre più flebili. Syd si è consumato troppo in fretta ed è ormai da troppo tempo solo con i suoi spiriti ed i suoi pensieri. Lasciamo in pace quest’uomo che ha avuto la forza di creare alcune delle più incredibili pagine musicali degli ultimi 50 anni: potrebbe anche essere felice a modo suo, sublimamente goffo ed etereo come il suo “Effervescing Elephant”.

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