FINISTERRE, Storybook (Moon June Records, 2001)

Evviva il progressive, il progressive non è morto, lunga vita al progressive! Che sia arrivata l’ora di un ritorno in grande stile, tramontate le infatuazioni punk e grunge? La Moonjune, novella casa discografica newyorkese, sembra credere di sì, o forse semplicemente scommette giustamente su questo genere musicale che, sebbene abbia vissuto con strepitosa intensità il suo momento di massima creatività, bruciando perciò le sue energie, come il replicante Roy di Blade Runner, con grande rapidità, non è per questo defunto. È un focherello tenuto sempre desto dai suoi cultori, che apprezzeranno certamente questo live dei genovesi Finisterre, gruppo nato nel 1992, il cui nome, di ovvia derivazione latina, è condiviso con Capo di Finisterre in Galizia e con una raccolta di poesie del concittadino Eugenio Montale. Con alle spalle tre album di studio (il quarto è in cantiere), escono ora con la registrazione del loro primo concerto statunitense, svoltosi nel 1997 alla Storybook Farm di Chapel Hill (North Carolina) in occasione del Progday Festival. All’epoca la band era formata da Fabio Zuffanti al basso, Stefano Marelli alle chitarre, Boris Valle alle tastiere, Andrea Orlando alla batteria e Sergio Grazia al flauto: quest’ultimo riunitosi solo temporaneamente ai compagni. Il disco fotografa dunque il gruppo nel periodo precedente l’uscita del terzo album, “In ogni luogo” (1999). Le otto tracce comprendono brani di “Finisterre” (1995) e “In limine” (1996), più la cover di Alta Loma della P.F.M. Si tratta di una realizzazione dal ricco contenuto, curata e appagante sotto ambedue i punti di vista: tecnico e qualitativo. In quasi un’ora e venti si distende lo stile grandioso, a tratti solenne, del quintetto, dalla marcata e fiammeggiante caratterizzazione chitarristica, che in parte rimanda chiaramente ai Pink Floyd. Senza tuttavia certe pachidermiche bolsaggini della band inglese, con assai maggior vitalità e varietà ritmico-espressiva e voglia di fondere influenze musicali diverse. Semplicemente: uno stile molto più progressivo. Il flauto offre alcuni precisi riff, interventi mirati e mai superflui o ridondanti che stemperano e alleggeriscono positivamente il largo fluire strumentale. I lunghi brani sono tutti eseguiti con grande perizia, assecondata dall’ottima qualità audio della ripresa e avvolta nella necessaria dimensione live: fra il brillante esordio flautistico di “In limine”, la poderosa suite “Orizzonte degli eventi”, la smisurata espansione di “Phaedra” (per l’occasione corredata di una bella coda ‘citazionistica’, dove fanno capolino “In The Court of the Crimson King” e “21st Century Schizoid Man” dei King Crimson e “Firth of Fifth” dei Genesis), il canto evocativo e arcaicizzante di “Canto Antico” (splendido il leggero crescendo corale nell’ultima parte, riuscita la citazione finale di “The Musical Box”) – i momenti di autentica emozione sono parecchi, tali da relegare ai margini una jam come ‘Alta Loma’, già in origine non propriamente un capolavoro, anzi francamente noiosetta.

Peccato che Finisterre erediti dalla tradizione progressiva italiana una delle sue caratteristiche più frequenti, vale a dire la mancanza di un cantante di ruolo il quale, sebbene Zuffanti e Marelli (a parte qualche scompenso dovuto probabilmente anche al doppio ruolo, arduo specialmente dal vivo) se la cavino piuttosto bene, potrebbe maggiormente valorizzare le parti vocali, spesso assai suggestive.
Auspichiamo per questo disco una adeguata distribuzione in Italia, luogo di pubblicazione di tutti gli altri lavori.

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