FABRIZIO DE ANDRE’, Volume I (Ricordi, 1968)

Il primo album di De Andrè è già un classico. Non un granchè, intendiamoci, lo sforzo creativo. “Volume 1” raccoglie un po’ di singoli degli anni ’60, i successi. In effetti, prepara il terreno. Saggia il pubblico. Siamo in aria di rivoluzione, la rivoluzione cantautorale genovese. Che con “Volume 1” ha già trovato il suo maestro.

De Andrè c’è già tutto. La lingua dotta, la ballata. Se poi è una raccolta, un tema comune c’è. L’amore, è il tema. L’amore lontano molte miglia dalla canzonetta italiana. Quello romantico de “La stagione del tuo amore”, e quello ‘infedele’ di “Barbara”. E naturalmente quello famosissimo di “Bocca di Rosa”. “Bocca di Rosa” trasmessa e diffusa e sostenuta nientemeno che da Radio Vaticana. In quegli anni di frontiera, mica oggi. Non è tutto. “Volume 1” si misura anche con l’amore ‘inumano’ del più grande rivoluzionario di sempre. Era questo il rispetto che De Andrè tributava a Gesù. Da celebrare come grande uomo, e non come dio presunto. L’amore per la donna, dunque, e l’amore del dio. Manca l’amore fraterno per l’amico. “Preghiera in gennaio” fu scritta in una notte, alla notizia del suicidio di Tenco. In realtà della dedica si seppe solo molti anni dopo. In sè, resta la canzone dell’amore (e della pietà) per l’uomo. Ancora, l’amore per i genitori, che è anche il primo tributo a Brassens. Del grande chansonnier francese tradurrà ed interpreterà altre canzoni. In quest’album figura anche “La morte”. Ma la “Marcia nuziale” è persino un clandestino a bordo del “Volume 1”. Così tenera, così “pastello”, come De Andrè sarà solo fra qualche anno. “La morte”, non proprio memorabile, è importante per un’altra ragione. Ci segnala un’altro tributo alla cultura francese, ci fa fare la conoscenza di Villon. A tanto poeta De Andrè dovrà un altro pezzo da maestro, “Il testamento”. E altri gliene deve, per l’ispirazione e per il coraggio. Parlo del De Andrè di questi anni, combattuto tra la poesia pura e la canzonetta. Lo spirito e la carne fermati per sempre, insieme, nel picco di quest’album. “Via del campo” è l’audacia e la forza, prima ancora della poesia. E’ il luogo dove fiorisce l’immediatezza di quei primi passi. Dove la prostituzione, e i sentimenti umani tutti, sfilano disincantanti. Nudi, non per essere castigati, ma per esaltarsi di amore, delusione e speranza.

C’è già dio in quest’album. “La buona novella”, tra anni dopo, svilupperà il tema. C’è la morte farcita di invidia di “Non al denaro, non all’amore, nè al cielo”. C’è l’umanità incompresa e derelitta di cui De Andrè vorrà farsi inteprete. C’è tutto questo, con uno stile ben presto accantonato. Va bene la ballata, va bene la povertà strumentale, e rimarrà il gusto per la lingua poetica. Ma “Tutti morimmo a stento” chiuderà il piglio didascalico del primo De Andrè. Che maturerà, pagando in qualche maniera la freschezza degli inizi. La purezza dell’ispirazione e il canto come missione. Per esprimersi, per sentirsi grande, apprezzato, seguito. Comunque, la maturità chiede pegno già qui nel “Volume 1”. “Spiritual” è un riempitivo, messo là per fare minuti. Non guasta l’album, ma ci dà il primo De Andrè nel business della musica. Un artista, non un guru nè un profeta. Un viaggiatore da seguire sicuramente.

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