BLACKALICIOUS, Nia (Quannum Project / Mo’Wax 1999)

Gli ep e il mare di featuring che hanno preceduto Nia montavano grosse aspettative. Le aspettative sono state soddisfatte, concedendosi in più lo strano e speciale coraggio dei pionieri (o degli eretici). Mi spiego. Il rischio, per un lavoro come questo, stava nel ‘crossover’. Crossover, nella musica, somiglia sempre più al ‘Varie’ degli archivi. “Se non sai di che si tratta, sbattilo tra le Varie”. Invece, Nia è rap, proprio rap, cioè è musica che rappresenta la cultura hip hop. E’ evidente, si tratta di un album particolare, innovativo diciamo. Ma il momento è quello giusto. Dalla seconda metà degli anni novanta il rap ha ripreso a marciare, s’è scosso via la polvere dell’usura. Spunta il nuovo sound di Philadelphia, la Bay Area (San Francisco, Oakland). Poi l’underground, da New York e dall’altra costa, a partecipare al nuovo corso del rap. Bene, dedichiamoci al disco. Prodotto dai Quannum Project, distribuito (in Europa) da MoWax. MoWax più pratica di disco, drum e dub che di hip hop. Crossover?… Niente, poche storie. Il suono nuovo è puro underground dalla Bay Area, scrive The Gift of Gab, suona, produce, arrangia e scratcha Chief Xcel. Il risultato è qualcosa di disturbante. Il suono è più soul che funk, non contraddice nè evolve nè ricalca l’hip hop in voga. Suona diverso, mai sentito. Poi le liriche. Parlano di autoconsapevolezza, di spiritualità (soul), poesia, interiorità… Gab racconta, evoca ambienti, porta avanti la sua storia… Molti puntini, ma non è facile. Il rap sta meglio dentro al reggae che dentro al soul. E come se non bastasse, a rispolverare il soul è stato sua maestà Notorius BIG. Ma Biggie aveva resuscitato la tradizione black del soul con voce e carisma, restituendola al rap. I Blackalicious invece usano il soul, nei suoni e nei testi, ma non fanno una ‘traduzione in rap’. Il prodotto è un’altro modo di fare hip hop, fuori dalle consuetudini. L’ascolto dell’album farà di tanti discorsi un’impressione limpida, ma resta una questione. La storia stessa dell’hip hop è costruita sul cliché stilistico, che significano queste defezioni? In verità non è un merito nè un tradimento, tanta innovazione. Deve ricordare, forse, lo sbigottimento causato a suo tempop dai native tongue. Oggi i Jungle Brother, gli A.T.C.Q., i De La Soul sono una cittadella a parte nell’hip hop, ma una fra le più splendide. Anche i Quannum stanno facendo qualcosa di speciale, magari non scintillante come fu per i native ma altrettanto prezioso. Altra osservazione importante: pochi contributi dal resto della Quannum crew. I Lyrics Born qua e là, Dj Shadow, poca roba. Bella copertina, in stile Quannum, una bustina in cartone con dentro il cd, un pieghevole… In tutto settanta (!) minuti di grande rap, un evento per chi è stanco di pagare la sua musica 1.500 lire al minuto, come un 166 erotico. Qualche traccia di cartello. Diciamo The Fabulous Ones, Deception, Shallow Days, Trouble (Eve of desctruction), Smithzonian Institute of Rhyme, As the World Turns. Quattordici tracce, due skip di grande impatto, intro e outro (Searching e Finding). Non ci sono cover nè sampler. Praticamente non ci sono featuring. Tutto bello, ma forse i puristi faranno fatica, al primo ascolto. Ci sono le tracce portanti, i singoli, ma l’album va ascoltato per bene, con pazienza. Alla fine, il taglio dei pezzi chiarifica in modo reciso le specifiche dell’underground Quannum. Bassi, melodia, e una base metrica stranamente newyorkese, dura, varia, essenziale. Ancora, sarà chiaro solo dopo l’ascolto di questo album, magari non proprio virtuosistico ma stimolante, e originale, nuovissimo.

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