Un’anteprima della festa dei 45 anni del Covo
Un sabato 7 Giugno, che pare un sabato 19 Luglio futuro. Il closing party del Covo si trova “bloccato” tra un afa esagerata e le grandi rassegne open air già in pieno svolgimento (Primavera, Handmade), perdendo inevitabilmente una fetta di sostenitori e appassionati. Ma chi c’è, potrà gustarsi lo show di un quartetto modenese di belle speranze (i Palea) e di un trio di Montreal (i Cola, ex Ought) che cerca di rinvigorire l’attuale scena post-punk.
Giulio Bertarini (voce e tastiere), Samuele Pigoni (batteria), Stefano Miozzo (chitarra) e Marco Mussini (basso) suonano le canzoni del loro EP di debutto
Everything Will Fall Into Place, uscito nella primavera del 2024. Lavato di dosso ogni timore reverenziale dimostrano tutto il loro amore per le sonorità indie – più pop e meno rock – che appartenevano a gente come Bombay Bicycle Club, Pigeon Detectives e We Are Scientists, da poco ingaggiati dal locale bolognese per il prossimo 1 Novembre.
Impegno, contaminazione, spigolosità
Verso le 23 escono i Cola. Il trio formato da Tim Darcy (chitarra e voce) e Ben Stidworthy (basso), insieme al batterista jazz sperimentale di Toronto Evan Cartwright – già U.S. Girls e The Weather Station – raccoglie il lascito di una certa etica DIY dell’epoca d’oro di Dischord o di SST, sia attraverso sonorità ruggenti provenienti da un triangolo minimale, ma soprattutto per i temi delle loro canzoni, pieni di battute accattivanti e considerazioni di impronta sociale. Il loro stesso nome, Cola, è un acronimo che sta per
Cost Of Living Adjustment, termine che indica una pratica economica attuata al fine di contrastare rincari e inflazione, il che non lascia dubbi sulle intenzioni degli argomenti trattati nei loro testi. Siamo ingranaggi microscopici di una catena pesante, che rischia di seppellirci.
Con il secondo album
The Gloss, che si propone di bilanciare e “risolvere” le frustrazioni presenti in
Deep In View, attraverso un’iniezione di maggiore positività, pur conservando intatta la tendenza a scavare nelle ingiustizie e contraddizioni del sistema economico in cui viviamo. Elogiato da Pitchfork, che lo ha definito “una combinazione perfetta di leggerezza romantica e rabbia giusta”, il disco viene eseguito quasi per intero, con perle come “Tracing Hallmarks” e “Albatross”, influenzate tanto dai Television quanto dai Pavement nel loro lato più kraut.
Un sound compatto ma dinamico grazie all’apporto di Cartwright, che direziona la coppia di ex-Ought verso territori al di là del post-punk, concreti e tuttavia visionari, nuovi, nella Telecaster suonata à la Syd Barrett di Darcy unita a un groove ipnotico, reso spesso da pennate ripetitive, del basso di Stidworthy. E “Degree”, “Bitter Melon” e “Black Curtain”, centrali nella performance, elevano il trio sopra i livelli della band madre ma anche sopra gli attuali Preoccupations. Musicisti comunicativi pur se introversi, artigiani di un prodotto immediato solo alla superficie: i Cola sono un grande gruppo rock contemporaneo, oltre qualunque definizione.