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Il pubblico del Parc del Forum di Barcelona è accolto nella storica venue di questa ventitreesima edizione Primavera Sound da tre riproduzioni giganti delle Powerpuff Girls, le Superchicche della famosa serie animata americana come omaggio diretto alle tre headliner di questa edizione 2025: Charli XCX, Sabrina Carpenter e Chappell Roan, tre regine di un’edizione da record (quasi 300mila presenze) che hanno garantito sold out generalizzati su abbonamenti e biglietti giornalieri con una velocità mai vista prima. E con merito. Per smentire snobismi che soprattutto in Italia sono sport nazional-popolare anche a livello di critica, la dirompente Charli XCX, dopo aver inaugurato lo scorso anno proprio al Primavera la “brat Summer” con una comparsa a sorpresa sulla spiaggia di Barceloneta e uno show nel forum, ha portato sul palco quasi due ore di festa senza freni e senza fronzoli, come piace a lei, alternando le sue hit a degli intermezzi di un altro talento molto amato dai più giovani, Troye Sivan, già presente anche lui nel 2024, nella tappa inaugurale dello SWEAT tour collaborativo. A volte bisogna essere lì per capire e Charli sta rappresentando, dopo una lunga gavetta, lo spirito del tempo per queste sonorità e per questa generazione.
Sabrina Carpenter ha dalla sua un ultimo disco che decontestualizzato potrebbe tranquillamente essere parte della “scena nostalgia” e dal vivo ripropone una sorta di patinato showcase da musical per la Gen Z (il suo contraltare avant-pop è stato l’annichilente show tra danza contemporanea e club europeo underground di fka Twigs, tra gli assoluti highlight del weekend).
Molto meglio Chappell Roan che dalla sua, oltre a essere una performer già di spessore, praticamente non ha brani che non siano delle potenziali hit e unisce universi musicali che da Kate Bush arrivano fino alla teatralità di Florence & the Machine e la malinconia delle ballad di Lana Del Rey. Un mix che unisce traversalmente molte fasce d’età che si trovano davanti a uno dei migliori show del weekend. Coinvolgente, per due terzi del pubblico commovente al limite delle lacrime e oltre, e a livello scenico porta uno stage design come pochi se n’erano visti nella storia del Primavera. La principessa del Midwest, dal titolo del suo album di debutto, è all’inizio di una lunga e inarrestabile ascesa e, a differenza di Sabrina Carpenter, ha un’empatia che la sta trasformando in un’improbabile quanto talentuosa icona di almeno due o tre generazioni.
Così il giovedì è un tripudio di outfit color “brat” per Charli XCX, mentre il sabato il Parc del Forum si colora a tinte rosa, tra cappelli da cowboy e qualsiasi altro elemento, in un gigante Pink Pony Club, dalla traccia di Chappell Roan.
Un qualcosa di difficilmente immaginabile per chi due decenni fa si era affezionato a un festival senza eguali nel mondo per la capacità di accogliere il meglio della scena indipendente contemporanea, vecchie glorie degli anni 80-90 e reunion spesso incentivate dallo stesso Primavera Sound di band che nessuno per vari motivi, anagrafici o logistici, era riuscito a vedere dal vivo nei bei tempi che furono.
Il Primavera da poco meno di un decennio ha smesso di galleggiare nel ricordo delle “chicche” e “bei tempi che furono” e la discussa dicitura nata prima dello stop pandemico, “New Normal” da molti derisa per la sua ostinata ricerca della parità di genere può rispedire al mittente critiche e polemiche: il Primavera Sound è in salute, ha un pubblico ancora giovane, o forse più giovane, rispettoso, inclusivo e sorridente, e continua ad accogliere i vecchi affezionati di quel festival nato come format quasi un quarto di secolo fa. Nonostante tutto, della nostalgia resta molto di più di quel banner alle spalle delle Superchicche, “Steve Albini First” e presente in tutte le FOH (lo scorso anno era stato dedicato al leggendario produttore e membro dei sempre presenti Shellac uno stage).
Con soluzioni acrobatiche e la possibilità di riempire slot nei club cittadini (Apolo, Parallel, Laut e La Nau) che quest’anno hanno accolto anche gli act un tempo ospitati dall’Auditori (non disponibile per concomitanti produzioni presenti al suo interno) i “bei tempi che furono” hanno trovato rappresentanza in diversi nomi “che valgono il prezzo del biglietto”: tralasciando quanto non visto per le solite drammatiche sovrapposizioni e per scelte di cuore, si pensi già soltanto ai redividi The Jesus Lizard, gli straripanti Cap’n’Jazz, la cult band post-hardcore dei fratelli Kinsella, ai Seefeel, alfieri del post-rock elettronico prima del post-rock e ai lisergici Sabres of Paradise dalla Warp degli albori, o all’iconica Kim Deal già presente più e più volte con Pixies e The Breeders. Per ampliare il discorso, considerando che, tra oggi e prime edizioni del Primavera, è passato lo stesso tempo che distanziava quegli anni dalla fine degli anni 80, potremmo considerare “nostalgia” qualche altro ritorno prezioso: gli indimenticati indie gallesi Los Campesinos, i gloriosi TV On The Radio che hanno regalato un’ora infuocata di black music filtrata da quel sound tipicamente anni Zero di New York reso famoso in chiave clubbing da un’altra band tornata dopo poco meno di un decennio, gli LCD Soundsystem chiamati a chiudere la programmazione dei palchi principali del weekend dopo il potentissimo set della superstar del rap made in UK Central Cee e che pur facendo sempre lo stesso show con gli stessi equilibri da sempre, sembrano farlo sempre meglio a dispetto degli anni che passano. O forse grazie agli anni che passano. Stanno per diventare nostalgia anche i Beach House, a cui è affidata un’oretta di eleganza in uno dei due palchi maggiori, e Anohni che, non che ci fossero dubbi, ha regalato uno dei set migliori della lunga settimana di Barcelona.
E magari lo diventeranno tra un decennio, usando gli stessi criteri, altri artisti ormai resident del Primavera Sound come jamie xx che trasforma l’area “Mordor” (etichettata così dai vecchi frequentatori del festival perché la più distante rispetto all’ingresso e agli altri palchi più o meno adiacenti) in un immenso dancefloor a cielo aperto, come solo Charli XCX che non a caso sarebbe salita sul palco accanto, dopo il suo set. Oppure i più recenti Idles e Fontaines DC, che stuzzicano ancora la fantasia della fazione più nostalgica del Primavera e soprattutto sono stati gli unici tra gli act più famosi a mandare senza timore messaggi molto diretti contro Israele e in sostegno della Palestina, a voce, nel primo caso, e sugli schermi nel secondo. La band irlandese, tra le tante cresciute nel corso di varie edizioni, a partire dall’esibizione di qualche anno fa al Primavera Pro, sul palco dedicato agli showcase al CCCB si è guadagnata lo spaventoso bagno di pubblico (vedi foto di seguito), in parte agevolato dal fatto di esibirsi prima di Chappell Roan, il cui pubblico in larghissima parte conosceva e ha rispettato i Fontaines DC, cantando qualche brano dei più famosi della scaletta. Un aspetto non da poco, che rappresenta un plus e l’aspetto più significativo ed esemplare in un festival così eterogeneo e fatto di persone rispettose ben sopra la media cui siamo abituati dalle nostre parti. Il pubblico del Primavera non è quello del Coachella, è un mix di persone a tratti commovente. In questa edizione che ha accolto l’installazione la potente installazione Unsilence Gaza che simula i bombardamenti subiti dai civili negli ultimi drammatici mesi di massacri, bandiere palestinesi sono comparse ovunque, anche durante le Haim (le tre sorelle vengono da una famiglia californiana di origine ebraica) e il loro delizioso compitino senza pecche. Ancora più politica la performance della domenica all’Apolo del trio hip hop di Belfast dei Kneecap, il cui componente Liam Óg Ó hAnnaidh è indagato dall’antiterrorismo britannica con le accuse, da lui smentite pubblicamente, di aver simpatizzato con Hamas e Hezbollah : basta rappare parlando di coca e altre droghe, feste e proteste su basi che alternano il meglio della tradizione anglosassone degli ultimi vent’anni, dalla breakbeat alla grime, per trasformare un Apolo pieno di bandiere indipendentiste di ogni provenienza in un autentico carnaio.
Come da tradizione del Primavera, orari e combinazioni di line-up sono sempre fuori dal comune e chiudere la programmazione di un palco con la granitica performance dei Turnstile alle 3 di notte del sabato ne è un esempio e una prova di resistenza per il pubblico e anche per l’irresistibile band che sta trasformando il punk/hardcore in fenomeno hype ai confini del mainstream. Per non parlare di quella di The Dare, altro artista richiamato per il secondo anno di fila, ma al Forum, in un’esibizione delle 4 del mattino che ha visto prendere d’assalto il palco Schwarzkopf pieno fino alla scalinata che conduce alla zona sotto gli inconfondibili pannelli solari del Parc. Si poteva scegliere, come di consueto, tra 4 palchi di elettronica e farne un recap sarebbe difficile come è difficile cosa scegliere da menzionare, dal solito ineccepibile live di Floating Points al revival electro-funk-wave dei Fcukers, dall’imprendibile set di Djrum al live di Simo Cell, passando per gli spigolosi islandesi Sideproject, il veterano nipponico DJ Masda, il Sandwell District di Regis e i Salem (uno dei set sicuramente più intensi e suggestivi anche a livello scenico) con le loro oscurità più in linea con quegli orari vicini all’alba. Ma le danze si aprivano molto prima con delle sonorità un po’ più solari o accoglienti, dai maestri DJ Koze e DJ Orbison passando per le novità global latine targate DJ Python, Nick Leon e Isabella Lovestory che mai dovrebbero mancare in un festival del genere. Siamo in un festival sempre più inglese, secondo gruppo nazionale dopo gli spagnoli. Seguono, per numero di presenze, il pubblico americano e, al terzo posto tra gli internazionali, quello italiano che però dalla sua ha la “piccola” particolarità di non avere dei festival degni di essere chiamati tali anche in patria.
Questa virata sempre più decisa verso gusti, trend e vibe tipicamente UK va avanti dal 2022 e si nota soprattutto nei palchi destinati al ballo. L’hard techno è tornata, così come la jungle e Sherelle (ormai habitué) o gli 4am crew (un nome una garanzia per una performance tributo a quell’immaginario), sembrano proprio essere stati chiamati in funzione di questo tipo di pubblico e per farlo restare fino alla fine nel Parc. Per non parlare ovviamente di Brutalismus 3000, tornati dopo due anni sullo stesso palco (migliorato come set, luci e disposizione, in questo nuovo Green Stage a cura del Nitsa, la club night di Barcelona che nasce prima dello stesso Primavera e festeggia i suoi primi 30anni proprio nel 2025) e Danny L Harle che, altro affezionato del festival, regala un live il venerdì in chiusura di “serata” e un djset il giorno dopo, sempre in chiusura ma in arena. A qualsiasi ora di qualsiasi giorno il Cupra Pulse (che ha sostituito la Boiler Room) ha sempre e comunque una coda interminabile, non solo per la presenza di big a sorpresa, come Kevin Parker dei Tame Impala, assoldato per un set last minute. Date una fila a degli inglesi, che sia per un bagno, per un bar o un palco e sarà fatta senza impazienza. I problemi di code si creano in alcuni cambi palco nell’area dei due palchi principali e quando, sottovalutando un po’ la portata di certi act quali l’iconica songwriter irlandese CMAT o il popolarissimo rapper Aminé, la storica arena, oggi palco Cupra, è presa d’assalto in alcuni momenti di buco o squilibrio nelle programmazioni, così come le varie zone food su cui, a livello di qualità, ogni anno si mantiene un livello superiore alla media con prezzi che fanno sembrare tutto uno spasso soprattutto agli anglosassoni (a partire dal bar, ma quello è un discorso più ampio e che in parte ne giustifica la presenza preponderante fino alla chiusura delle serate).
Per provare a scommettere immaginare chi diventerà invece culto tra un decennio meritano una segnalazione la bravissima Nilüfer Yanya che si è esibita dopo l’emozionante Youth Lagoon in una delle notti inaugurali dell’Apolo, il chiacchieratissimo rapper inglese Jawnino, il raffinato erede del filone jai paul / Blood Orange Nourished By Time che forse avrebbe meritato, lui sì, una fascia più notturna o Florence Sinclair, progetto a metà strada tra dancehall narcotizzata, Dean Blunt e ambient o gli assatanati YOASOBI a portare a modo loro la bandiera del j-pop meno facilone anche in questa edizione e Jane Remover a saziare gli appetiti digicore (e dariacore, dal sottogenere che aveva lanciato ai tempi del progetto Leroy) dei più giovani stakanovisti rimasti a Barcelona nella domenica conclusiva.
Se qualcuno si chiedesse se c’è ancora spazio per le chitarre basterebbe nominare tra i tanti nomi passati in rassegna dalle 5 del pomeriggio alle 5 del mattino gli acerbi Julie, l’elegante Cassandra Jenkins, la sempre più promettente Beabadoobee, i trasognati Feeble Little Horse, l’impeccabile regina delle vibe Americana Waxahatchee, le Wet Leg che malgrado le due di notte si trovano davanti un bagno di folla per loro forse inedito, cervellotici Still House Plants, i più rassicuranti Dehd, e per andare su sonorità più tendenti al punk-hardcore o comunque meno inclini ai compromessi, gli ipnotici Glass Beams, i Gouge Away, gli High Vis e gli straripanti Chat Pile (chiusura ufficiale dell’ultima serata all’Apolo per i più resistenti).
Ci sarebbe anche da segnalare MJ Lenderman, ma è stato deciso di piazzarlo in contemporanea con Chappell Roan e quindi a malincuore si è dovuto rinunciare. Lo stesso discorso vale per Denzel Curry durante Charli XCX e tanti altri casi di problematica sovrapposizione che solo chi ha degli ascolti “monocolore” non ha nel Primavera dell’anno 2025.
Non è facile incastrare tutto, del resto, in questo luna park di palchi, generi, sottogeneri che solo al Primavera continua a concentrarsi in quel chilometro e mezzo che divide un’estremità dall’altra del Parc del Forum che a ragione, gli organizzatori la considerano una delle migliori possibili al mondo. Non solo per la logistica naturale degli spazi, ma anche per quel suggestivo affaccio al mare che rende il clima molto più godibile soprattutto dopo il tramonto, considerando la stagione dell’anno che è sempre meno primaverile. Nonostante i numeri in cresciuta, per fortuna, non esistono al momento scenari futuri che fanno pensare a spostamenti del Primavera in altre location, come confermato ufficialmente nella presentazione delle date della prossima edizione che si terrà nella settimana del weekend del 4-6 giugno 2026.
Barcelona, nella settimana del Primavera Sound, è diventata nel giro di due decenni da capitale di nicchia della musica indipendente e delle chicche per affezionati e addetti ai lavori, a epicentro mondiale della musica contemporanea e tutto ciò accogliendo popstar, brand sempre più invasivi e tutto il carrozzone che ne consegue, senza però mai snaturarsi nella direzione artistica.
Chi cambierebbe rotta?
Credits Fotografici: Christian Bertrand, Gisela Jané, Clara Orozco, Laia Escuder