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I mclusky son tornati, I mclusky (non) sono cambiati, W i mclusky
Slogan con felicità annessa (per farvi intuire una certa soddisfazione).
Tornati dopo ben 21 anni da quella meraviglia sghemba quale è “The Difference Between Me And You Is That I’m Not On Fire”, il nuovo “The world is still here and so are we” su Ipecac è una potente dichiarazione d’intenti.
Ci siamo, ancora, digrignano i tre gallesi, con la solita violenta ironia a scardinare un mercato musicale che continua a dare per defunte le chitarre.
Che stupidata immane.
Come fai a far morire qualcosa che continua a vivere proprio perchè si alimenta della stupidità umana?
Se il mondo è sempre più in crisi, ci sarà sempre una band che si armerà di voce, chitarre e rumore, anche solo per dire, cazzo ci sono ancora.
Se poi questo gruppo sono proprio i mcclusky, non possiamo che essere felici e sentirci sicuramente meno soli.
Legnate nei denti e un sarcasmo che fa riflettere
Ma com’è a conti fatti un disco che arriva dopo una ventina d’anni?
É bellissimo, lo dico senza mezze misure.
Ha un tiro pazzesco (ascoltatevi la prima legnata nei denti “unpopular parts of a pig” oppure lo scioglilingua a rotta di collo “kafka-esque novelist frank kafka”); è punk nell’accezione più nobile del termine (“hate the poils” manda affunculo con un ghigno sardonico), ma soprattutto non è un disco nostalgico.
Perchè è vero che qui dentro c’è tutta la musica che più amiamo, le chitarre, gli stop and go, i Fugazi, i fantasmi di Steve (Albini), le canzoni (mai così a fuoco), il bello di non prendersi mai sul serio.
Ma soprattutto ci sono tre uomini che si sono rimessi in gioco.
Non per soldi ma per necessità.
E credetemi, si sente eccome.
Bentornati.
80/100
(Nicola Guerra)