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Non sembrano passati 10 anni, ma è così: il dolente “Carrie & Lowell” di Sufjan Stevens uscì il 31 marzo 2015, e fu subito un classico istantaneo. Vinse i Kalporz Awards 2015 e – naturalmente – non solo. Lo abbiamo riascoltato e queste sono le sensazioni odierne.
Il lutto, la memoria e la fede: il fragile equilibrio di Carrie & Lowell
In Carrie & Lowell Sufjan Stevens ha saputo mescolare e conciliare tra loro il dolore, il rimorso e il lutto come quasi nessun altro. Per trovare un po’ di conforto li ha immersi nella storia della sua vita, in quei momenti della sua infanzia e della sua giovinezza nei quali la vibrante speranza si scontra con le difficoltà di cui era costellato il rapporto con la madre o si unisce alle sensazioni di libertà che quello con il patrigno gli offrono, e in quei momenti della sua vita adulta nei quali ha visto prima deperire e poi morire la madre, evento che è il vero fulcro di tutto il progetto. Ecco, così, che l’apertura quasi rasserenante, un sospiro di sollievo dopo una lunga agonia che è giunta al suo termine, che è “Death with Dignity” non è un triste e rassegnato monito quanto una sussurrata ma pacifica accettazione dello stato delle cose. È tutto molto terreno, anche se la spiritualità di Sufjan emerge di continuo, mai frenata dall’aspetto materiale e concreto della fine ma semmai esaltata da questa prospettiva, che il cantautore non annulla mai del tutto ma che mette in dubbio di continuo, dialogando con essa in un terreno di domande che non prevedono risposte definitive. La nebbia in cui la memoria si orienta un po’ a tentoni e quando sbatte contro i ricordi più significativi si spaura riempie gli acquerelli melanconici che sono “Eugene” e “Carrie & Lowell”. L’incapacità di dare un nome definitivo e infame al dolore per metterlo a tacere almeno nella nostra testa cerca aiuto gridando dalle gocce di pioggia di cui è intrisa “No Shade in the Shadow of the Cross”, dove l’ombra proiettata dalla croce sembra essere l’illusione rappresentata dalla fede o, forse, la più profonda e reale essenza della fede stessa. Si finisce per essere risucchiati da questa sofferenza senza che ci si possa difendere o ritrarre, resi anche noi note parcellizzate piene di echi e di vibrazioni cosmiche come quelle che chiudono “Blue Bucket of Gold” e con essa il disco intero.
(Samuele Conficoni)

Dieci anni dopo: Carrie & Lowell e la trasformazione del dolore in vita
Ho avuto il tempo, nel 2019, di scrivere un libro sugli Anni Dieci, su quel decennio che stava per finire, e in tutte le interviste che ne sono seguite quando arrivava la fatidica domanda: “Ma insomma, qual è l’album più importante degli Anni Dieci?” non avevo mai dubbi a rispondere “Carrie & Lowell”. Non si tratta di influenza, di moda rispetto al sound del decennio (per quello probabilmente c’è “To Pimp A Butterfly” di Lamar, guarda caso sempre nel 2015), è che “Carrie & Lowell” tratta di temi universali, della perdita e del dolore, della rinascita, del sollievo, del cerchio della vita, ne parla in maniera poetica, e la poesia non passa mai di moda. Sufjan Stevens perdeva sua madre e la ricordava così, e anch’io in quel 2015 perdevo la mia. Così, mentre allora mi sembrava un album intriso di dolore, oggi mi pare un disco pieno di sollievo. Il sollievo di aver avuto la fortuna di essere al mondo, e di essere riuscito a superare quel passaggio, la consapevolezza che ci si attacca alla vita anche dopo un dolore del genere, perché la perdita di un genitore è inumana. Non è pensabile, non è affrontabile, non puoi venirci a patti. E invece Sufjan l’ha fatto, per lui e per tutti noi. Così oggi, dieci anni dopo, “Carrie & Lowell” mi sembra un album di vita, e non di morte. È strano come cambiano le cose, le stesse cose, col passare del tempo.
(Paolo Bardelli)
https://music.sufjan.com/album/carrie-lowell
credits
released March 31, 2015
All songs by Sufjan Stevens ©2015 Sufjan Stevens Music/ASCAP
Performed by: Sufjan Stevens, Casey Foubert, Laura Veirs, Nedelle Torrisi, Sean Carey, Ben Lester, and Thomas Bartlett
Recorded variously at:
Flora, Portland, Oregon (engineered by Tucker Martine)
Black Watch, Norman, Oklahoma (engineered by Chad Copelin and Jarod Evans)
April Base, Eau Claire, Wisconsin (engineered by Brian Joseph)
Pat Dillet’s studio somewhere midtown Manhattan
And at Sufjan’s office in Dumbo, Brooklyn
Some tracks were also recorded on an iPhone in a hotel room in Klamath Falls, Oregon
Mixed by Sufjan Stevens, Thomas Bartlett, and Pat Dillet