Il caleidoscopio di suoni di L’Rain al Covo di Bologna

L’Rain @ Covo Club, Bologna, 09/03/2024

È il Covo di Bologna a ospitare l’unico show italiano di questa tranche europea di tournée della band di Taja Cheek, una delle più affascinanti rivelazioni musicali degli ultimi anni. Lo show è un solido concentrato di psych-rock, caustico R&B elettrificato e levigato sperimentalismo jazz ed elettronico che fa emergere di fronte ai nostri occhi con raffinatezza e gusto i traguardi più significativi che il progetto L’Rain è stato in grado di scolpire fino a oggi.

Salgono sul palco uno dopo l’altro, ciascuno di loro estremamente concentrato, i quattro membri della band che oltre a Taja Cheek compongono il progetto L’Rain, nome d’arte della performer stessa, che ha come base Brooklyn e che de facto è diventato il nome stesso della band. Aveva inaugurato le danze il cantautorato pop di Marta Tenaglia, opening act della serata, in un Covo non pienissimo ma decisamente affollato. L’Rain ha pubblicato lo scorso ottobre I Killed Your Dog, terzo LP in studio dell’artista, in cui le potenzialità di Cheek e del suo gruppo si sono ulteriormente ampliate rispetto al suo eccellente predecessore, Fatigue, e hanno permesso loro di costruire un sound sperimentale e originale in grado di attraversare più generi e più stili, grazie a una sensibilità profonda e a un gusto ricercato tanto in fase composizione quanto in quella di performance.

Nucleo fondante dello show è proprio l’ultimo progetto in studio di L’Rain, la cui title track è anche l’apertura del concerto. La straniante e spiazzante ripetizione «I killed your dog» cullata dagli accordi che la sorreggono rende sin da subito l’esperienza totalizzante e immersiva; i tappeti sonori creati dai sintetizzatori e dalle ritmiche ondulatorie e frastagliate delle chitarre e i frequenti cambi di tempo e gli improvvisi testa-coda che conducono un brano dalla calma alla violenza o viceversa sono tra gli elementi più intriganti ed esaltanti del live insieme alla voce di Cheek, che insegue gli strumenti e li fa suoi, si fonde a loro, se ne libera; ora aspetta, ora li guida.

Cheek suona sia basso sia chitarra; talvolta canta e basta, plasmando e modulando la sua voce grazie a una serie di effetti che gestisce, che ramifica e che estende come un’avida radice che un po’ è visibile e un po’ no, tra loop, riverberi e delay; di tanto in tanto fa la sua comparsa anche il sassofono, che riveste un ruolo centrale in alcuni passaggi, di tanto in tanto strumentali, e che suona quasi come un contraltare delle spinte chitarristiche e delle graffianti raffiche della batteria che avvolgono ogni pezzo con dolcezza o con durezza. Così il set procede con “5 to 8 Hours a Day (WWwaG)”, altro diamante multiforme e vivido dalle complesse venature contenuto anch’esso nell’ultimo disco della band, e poi con due splendidi episodi di Fatigue, “Two Face” e “Find It”. Nelle performance di L’Rain convivono e dialogano un massimalismo caleidoscopico e un minimalismo intimistico; essi si inseguono e si abbracciano, flirtando e combattendo e infine unendosi in un connubio riuscitissimo.

La scaletta è organizzata in modo coerente e preciso; ogni brano pare sfociare spontaneamente in quello che lo segue; Cheek e il gruppo sembrano in trance dal primo all’ultimo minuto, affiatati e appassionati, e il pubblico cade nella medesima ipnosi, invito che Cheek aveva rivolto agli spettatori proprio all’inizio dello show, appena salita sul palco, quando aveva ricordato che durante i loro concerti occorre essere presenti con il corpo e con la mente per tutto il tempo dell’evento. A rendere ancor più onirico e al medesimo tempo selvaggio il suono pulitissimo e brillante che il gruppo edifica e modella è il modo in cui strumenti e voce si spalleggiano tra loro; nei momenti strumentali le climax ascendenti e discendenti creano continui labirinti in cui non vedi più l’uscita; la presenza del cantato non diminuisce questo senso di vertigine; lo amplifica, semmai. Lo psych-rock che si incunea in una sorta di gospel avanguardistico di “Pet Rock” dipinge sentieri impervi e al tempo stesso divertenti e smaliziati; è una strada ostica, tentacolare e ambiziosa, ma al tempo stesso così seducente e magnetica da conquistare in breve tempo anche i meno avvezzi a questo tipo di avventure.

Particolarmente incisive ed esemplari sono le più spericolate e variopinte jam del nuovo disco; oltre ai brani già citati spiccano anche la vorticosa “Clumsy”, con splendidi inseguimenti tra strumenti, voce e aspetto ritmico, la frammentaria e frastornante “Uncertainty Principle”, ancor più maestosa nella forma che assume sul palco e nell’atteggiamento con cui la vivono e la abitano i musicisti, e la spettacolare “New Year’s UnResolution”, brano che chiude il set, nel quale meraviglia e senso di solitudine si confrontano e si affrontano in un magma di sensazioni e vibrazioni, una raffica di suoni e di fonti d’ispirazione delle più stratificate e disparate. Dopo un’ora il concerto finisce: la qualità cristallina di ciò che ci ha avvinti dal primo all’ultimo secondo ci lascia caldi e sbalorditi. Si sono attraversati in poco tempo paesaggi infernali e panorami edenici, un agglomerato di energia e di passione che ci ricorda una volta ancora che Taja Cheek e il suo universo L’Rain sono una delle realtà musicali più attraenti e stimolanti nate negli ultimi anni.

(Live report e foto di Samuele Conficoni)