[#tbt] Harumi, psichedelia e misteri: un disco d’esordio prodotto da Tom Wilson nel ’67-68… e poi?

Alcuni dischi, artisti sono avvolti nel mistero e spesso l’oscurità, che ammanta certa produzione artistica, la rende più affascinante e intrigante. In tal senso il caso di Harumi, artista giapponese o nippo-americano e possibile trait d’union tra i fumi lisergici della psichedelia USA e i venti musicali orientali, è emblematico, un enigma vero e proprio, particolarmente appassionante perché difficile da risolvere, dato che i dati certi su Harumi sono davvero pochi: sappiamo solo che nel 1968 la Verve Forecast ha pubblicato il suo disco d’esordio prodotto da Tom Wilson, già in cabina di regia per dischi come “The Futuristic Sounds of Sun Ra” di Sun Ra (1962), “The Times They Are a-Changin’ ” (1964) di Bob Dylan, Absolutely Free” (1967) dei Mothers of Invention o “Chelsea Girl” di Nico. Nei crediti dell’album compaiono tra gli arrangiatori lo stesso Harumi, Harvey Vinson e Larry Fallon mentre non si fa menzione di chi suona cosa (siamo al corrente che Don Robertson suona il sitar in “Twice Told Tales Of The Pomegranate Forest” perché il musicista l’ha scritto sul suo sito web).

In un articolo dell’epoca (vedi foto sottostante), uscito ad aprile 1968 sul losangelino World Countdown, Harumi viene descritto come “un ventunenne nato Tokyo ma che negli Stati Uniti ha trovato la sua casa” e si racconta che, oltre a scrivere canzoni, abbia fatto il fotografo professionista per un periodo di quattro anni avendo frequentato la School of Visual Arts di New York. Tutte notizie presenti, tra l’altro, anche nel press kit della Verve Forecast.


Grazie a un articolo (vedi foto sottostante) del Plain Dealer (quotidiano di Cleveland) – sempre dello stesso periodo – scopriamo che ha pure suonato dal vivo:  «Harumi, che è venuto qui per una toccata e fuga al club La Cave mercoledì».

Esiste poi anche una partecipazione di Harumi al programma radiofonico di Tom Wilson The Music Factory (ascoltabile a questo link) ma in un’ora di show l’artista dice – sì e no – venti parole.

Ad oggi non abbiamo altre testimonianze di Harumi, anche se sul web – soprattutto su Discogs – si fa cenno a un articolo pubblicato dal New York Times nel 2006 dove viene menzionato un «Harumi Ando, grafico e fotografo giapponese trasferitosi a New York da ragazzo» che «vive e lavora all’ultimo piano di 7 Dutch Street dal 1975», lo stesso nome (accompagnato da una foto) – Harumi Ando – compare anche nel libro di Cynthia Hart e Lisa Samson, “The Oral History Workshop: Collect and Celebrate the Life Stories of Your Family and Friends” (2018, Workman Publishing Company) e in questo caso la persona di nome Harumi Ando risulta essere morta nel gennaio 2007: «Harumi era malato da diversi anni ma nessuno di noi sapeva quanto fosse realmente malato». Non sappiamo però se sia lo stesso Harumi autore del disco 1968, certo va detto che Harumi è raro come nome maschile essendo prevalentemente femminile. Quindi potrebbe essere davvero lui.

A continuare a vivere, senza ombra di dubbio, è però la miscela pop psichedelica di Harumi, più volte usata come sample nel corso degli anni: i Rotary Connection hanno reinterpretato Caravan nel loro album “Aladdin” (1968); Hunters of Heaven è stato campionato dai Residents nel loro EP di debutto “Santa Dog” del 1972 (brano Explosion), dai Jazzanova nel loro disco d’esordio “In Between” del 2002 (brano Another New Day) e da Diplo nell’album “Florida” del 2004 (brano Big Lost); Edan ha campionato Hello in “Beauty and the Beat” del 2005 (brano Polite Meeting).


(Monica Mazzoli)