Il dilatarsi del tempo nelle emozionanti canzoni di Micah P. Hinson


Micah P. Hinson, Bronson, Ravenna, 11 Marzo 2023

Ultima data del lungo tour italiano di Micah P. Hinson a supporto di “I Lie To You”, uscito nel dicembre scorso per Ponderosa. Il Bronson per l’artista nativo di Memphis è come una seconda casa: l’etichetta del locale ha pubblicato due suoi lavori, ospitandolo in diverse fasi della carriera. L’Hinson di oggi sembra molto più maturo dell’età che porta (42 anni), alle spalle un vissuto tra dipendenze, paternità e il grave incidente in Spagna nel 2011 che lo ha costretto a una fisioterapia infinita per tornare a suonare; ne deriva che le sue performance dal vivo lasciano decantare la musica, rallentandola, in confronto alla versione in studio più rifinita e organica. Lo accompagnano Paolo Mongardi (Fuzz Orchestra) alla batteria e Alessandro “Asso” Stefana (Vinicio Capossela) alla lap steel, banjo e tastiere, che ha anche registrato in cinque giorni “I Lie To You” in Irpinia.

Opener di serata Phill Reynolds, ex-concorrente di X Factor. Autore di un folk-blues limaccioso e a tratti scolastico, gode però di una voce duttile che gli regala l’attenzione del pubblico: nel set emergono “Man In A Suitcase” e una cover di “Ring Of Fire” di Johnny Cash, evidente riferimento anche di Micah P. Hinson che da par suo inizia sulle delicate e immobili note di “Wasted Days And Wasted Nights”, con Asso e Mongardi a pennellare lo sfondo tra banjo arpeggiato e una batteria marziale. In “Ignore The Days”, presentata anche in televisione a “Stasera c’è Cattelan”, Hinson vaga nella nebbia dei synth tra i meandri di un testo ermetico quanto disincantato.

Riflessività che troviamo anche in “Carelessly” e “The Days Of My Youth” sempre dall’ultimo lavoro, mentre “Beneath The Rose” riporta al debutto “The Gospel Of Progress” del 2004 con la sua atmosfera epica – si può definire la sua signature song, essendo andata in classifica anche oltreoceano. L’interpretazione è magnifica come la voce di Hinson, tornata a buoni livelli (presentando un brano sottolineerà quanto gli manchi enormemente fumare durante un concerto). “Walking On Eggshells” aumentando i giri ci spedisce in un saloon del Texas come fa “Please Daddy Don’t Get Drunk This Christmas”, originale di John Denver, cantata dalle file sottopalco.

Con “Tell Me It Ain’t So” rivive l’alt-country dei Lambchop – una perla estratta da “The Red Empire Orchestra” del 2008 – per poi eseguire una coppia di brani in solitaria, intensi. Tuttavia il meglio arriva con le canzoni successive: “People”, ripresa di un vecchio pezzo firmato da David “Pedro The Lion” Bazan, è squarciata dal grido di un bimbo che Hinson non può che ammirare, acquistando una magia delicata e irripetibile; “What Does It Matter Now” ti rapisce nella sua malinconia dove “On The Way Home (To Abilene)” è pervasa di amore e country fino alle viscere, canzone tratta insieme a “There’s Only One Name” da “Micah P. Hinson And The Nothing” (Talitres, 2014) che era stato elogiato dal nostro Nicola Guerra e oggi risalta forse come il suo disco più bello.

Il bar lavora instancabile – un nutrito gruppo di ragazzi vicino a me ha preso quattro birre a testa in un’ora – quando giunge il momento dei bis: l’entusiasmo dilaga su “Diggin’ A Grave”, da “The Opera Circuit”, e il finale è ancora sommesso per la pianistica “You And Me”. Nostalgia per l’Italia che lascerà l’indomani in vista di Parigi o per la sua famiglia in Texas, non ci è dato saperlo.

Il placido tumulto delle emozioni, grazie Micah P. Hinson.