dEUS, “How To Replace It” (Pias, 2023)

I dEUS non mollano, e questo è importante. Già ne avevamo avuto prova nella data estemporanea che avevano fatto nel giugno 2022 a Bologna, ma in effetti questo “How To Replace It” è una riaffermazione di sé senza tentennamenti. Che arriva davvero dopo tanto tempo dall’ultimo “Following Sea” (undici anni), un periodo che poteva quasi far pensare che i dEUS avessero “appeso la sala d’incisione al chiodo”. Del resto ci sono band che, a un certo punto della carriera similare a quello dei belgi, non sentono più l’esigenza di dire cose nuove e fanno solo tour (mi vengono in mente, così d’amblée, i Blur). “How To Replace It” ci restituisce invece un gruppo che smussa sempre di più gli spigoli dei fasti dei ’90 e che è alla ricerca della perfect pop song con un’eleganza tipica dei migliori cantautori come Leonard Cohen (il riferimento non è casuale visto come Barman canta “1989”), ma che vuole arrivare alla meta.

Qui in effetti un cantautore c’è ed è Tom Barman, che nel processo di costruzione di “How To Replace It” ha preso le improvvisazioni fatte in sala prove da tutta la band e le ha ritagliate in sue canzoni, tornando poi in studio con i brani finiti, fatti e precisi; un lavoro che è evidentemente molto accentrato su di lui, ma si sa che i dEUS si identificano principalmente con lui.

E i risultati sono encomiabili per la qualità di scrittura, meno per quel livello di coinvolgimento prima sonoro e poi emotivo a cui ci ha sempre abituato la band di Anversa, perché le canzoni hanno necessità di un livello personale che supera la fruizione collettiva. E sappiamo anche i dEUS sono una band che dà il meglio di sé nella dimensione live, per cui “How To Replace It” servirà al gruppo belga per poter andare in giro (il 29 marzo arrivano a Milano, tra l’altro) ma occorrerà che i brani siano amplificati a livello di intensità perché se no faranno fatica a stare a fianco ai vecchi cavalli di battaglia.

In ogni caso, alcune chicche ci sono, come le due bellissime “Man Of The House” e “Never Get You High”, mentre l’eterea “1989” si fa notare per il tentativo di rendere più pop il linguaggio dei dEUS ma non convince al di là di un testo toccante (è dedicata al padre di Barman, morto in quell’anno, argomento già toccato da Barman in “Right as Rain”) per quella patina little-funky con tanto di synth pad e voce femminile.

‘Cause back in 1989 is when I learned to look behind
Like nothing happened

Il resto sono brani che si capisce che sono stati fatti con cura e scalpello, smussatura su smussatura, arrivando quindi a una specie di perfezione formale che è innegabilmente lodevole ma che risulta anche un po’ più fredda proprio per quello. È comunque un album che cresce con gli ascolti, e ciò non può che essere un bene, così quando ne usufruiremo in concerto, potremo godere sia della sua armonia estetica generale che del mood più carico su cui i dEUS non lesinano mai quando li si incontra a tu per tu.

70/100

(Paolo Bardelli)

foto in home di Joris Casaer / pubblicazione autorizzata da Spin-go!