[#tbt] Dalla Femme Fatale alla Femme Fétal: l’IVG nel Novecento americano

This song is addressed to my sisters
Any man who is present may listen
Any priest, any public official, any physician
But it gives him no license to touch us
We make the decision
Me and Lydia, Josie and Rosie and Eve
We handle this matter ourselves
You’d better believe, or you better leave

Malvina Reynolds, “Rosie Jane”

Per quanto tabù, l’IVG (Interruzione Volontaria di Gravidanza) è stato uno dei temi più ricorrenti nella storia della musica occidentale, pre- e post- legalizzazione. Le “Maddalene da pentire” (cfr. Bertoli, “Certi momenti”) sono entrate con prepotenza nella politica, ma non solo: sono entrate prima nella cultura popolare, normalizzando ciò che, agli occhi di una sovrastruttura bigotta, era considerato anomalo. Le muse di questi brani, oltre a raccontare la propria storia, ricordano alla società civile una massima importante del collettivismo: se toccano una, toccano tutte.

Com’è noto, a cavallo degli anni ‘60/’70 in cultura popolare e soprattutto in musica, le spinte progressiste a favore del riconoscimento dei diritti civili a tutela delle minoranze si sono canalizzate in gran parte nella musica folk e affini. Nonostante le figure maschili siano di gran lunga più miticizzate rispetto alle loro controparti femminili, donne e altre minoranze non hanno di certo perso occasione di sfruttare un medium così immediato come la musica per farsi sentire. In Italia, gran parte di questi canti popolari sono raccolti nel grande canzoniere femminista “Canti di donne in lotta” per opera del gruppo musicale del comitato per il salario al lavoro domestico di Padova (1975), mentre negli Stati Uniti e nella sfera anglofona, il racconto della lotta femminista e in particolare di quella focalizzata sul riconoscimento del diritto ad abortire si è incentrata intorno a cantautrici soliste (un corrispettivo italiano potrebbe essere Teresa Gatta e il suo “Cantadonna” del 1978): ad esempio, la sopraccitata Malvina Reynolds, meglio conosciuta per il suo canto anti-conformista “Little Boxes”, e la storia di “Rosie Jane”, brano composto in supporto della sentenza Roe v. Wade che racconta di una madre di estrazione proletaria che non potrebbe sostenere un quinto nascituro, ma ricordiamo anche “Gibsom Street” di Laura Nyro da “New York Tendaberry” del 1969 (di cui ho scritto qui) e la cantautrice Peggy Seeger che scrisse con straordinaria eloquenza un blues “dei nove mesi” dal sapore williamsiano:

Every nine-month blues
Too much gain, too much to lose
Now don’t you think we oughta have the right to choose
I got the nine-month blues

Il fermento culturale e politico di quegli anni favorì la legalizzazione dell’IVG nella maggior parte delle socialdemocrazie, ma furono gli anni ’90 il periodo della sua “popolarizzazione”, da inserirsi in un processo più generale di commercializzazione della lotta femminista tout court. Il caso più noto resta con ogni probabilità “Pennyroyal Tea” dei Nirvana da “In Utero” (1993), un brano scritto sull’erba Pennyroyal e le sue proprietà abortive. Un singolo mancato a causa del suicidio di Kurt Cobain che riuscirà a raggiungere il primo posto in classifica Billboard soltanto nell’Aprile del 2014, quando il brano fu ripubblicato per celebrare il Record Store Day, ma che diventò nonostante tutto presto uno dei brani più famosi dei Nirvana.

Sit and drink Pennyroyal Tea
Distill the life that’s inside of me
Sit and drink Pennyroyal Tea
I’m anemic royalty

Un altro esempio nineties è “Slide” dei The Goo Goo Dolls, il secondo singolo estratto da “Dizzy Up The Girl” (1998), ora disco d’oro della RIAA per vendite negli Stati Uniti. La ballata jangle-pop ha un testo che narra di una coppia adolescente alle prese con una gravidanza indesiderata e con solo due possibilità: l’aborto o la sacra unione.  

Il mio preferito, tuttavia, è brano dal titolo catchy, “Femme Fétal”, del trio hip-hop newyorkese Digable Planets. È un racconto che interseca classismo e sessismo in modo non diverso dai testi che abbiamo visto finora, ma con una certa sfrontatezza che rifiuta il pietismo delle narrazioni riguardanti l’oppressione delle minoranze. È ironica, sfacciata e macabramente profetica.

If Roe v. Wade was overturned, would not the desire remain intact

Leaving young girls to risk their healths

And doctors to botch, and watch as they kill themselves

Now, I hate to sound macabre

But hey, isn’t it my job

To lay it on the masses and get them off their asses

To fight again these fascists

So, whatever you decide, make that move with pride

(Viviana D’Alessandro)