[#tbt] Celebrating The Legacy of Pat Fish

Quante volte succede che la legacy di una band diventi importante dopo lo scioglimento, o nel caso in cui l’artista ci lasci prematuramente? Pat Fish, cantautore londinese di stanza a Oxford noto a tutti come The Jazz Butcher, è venuto a mancare lo scorso 5 Ottobre ad appena 63 anni. Appena laureatosi si dedica incondizionatamente alla musica con i Sonic Tonix pubblicando un singolo su Cherry Red, un attimo prima di coniare (nell’82) il nome del progetto per cui sarà sempre ricordato – visto che gli altri alias The Jazz Butcher Conspiracy e The Jazz Butcher And His Sikkorskis From Hell sono già più ostici. Nei primi dischi per l’etichetta Glass militano David J e Kevin Haskins dei Bauhaus, mentre Max Eider resterà il principale collaboratore di Pat Fish fino agli ultimi giorni: un quadriennio, quello 1983-1986, coperto al meglio dal vinile di “Bloody Nonsense” che ho trovato anni fa a un mercatino per due spicci ma che oggi è una testimonianza artistica di livello e foriero di gioielli quali “Big Saturday”, “The Human Jungle” e “The Devil Is My Friend”. Una commistione di folk operaio, Velvet Underground e soul music.

La palla passa quindi a Alan McGee, che con la Creation realizzerà otto album di The Jazz Butcher fino al 1995. Fish diventa qui uno sparring partner, poichè il budget si orienta su altre band (House Of Love, Primal Scream) stupendosi anzi della disorganizzazione e grossolanità di una indie senza alcun legame con il mercato americano: scivolano quindi senza lasciare traccia brani come “Next Move Sideways” e la psichedelica “Girl Go”, da “Cult Of The Basement”. L’unico exploit viene suo malgrado dalla cover in stile acid-house di “We Love You”, hit dei Rolling Stones nel 1967, che gli garantirà la partecipazione a Top Of The Pops; per capire l’integrità dell’artista Pat Fish vi basti leggere lo scambio di opinioni avuto con McGee a tal proposito: “Pat, You won’t believe it – 400 kids on the floor punching the air to your record!” “Yeah, right.” Eppure anche guardando “Upside Down: The Creation Records Story” notiamo l’orgoglio di Fish nell’aver vissuto quel periodo fondamentale per la musica inglese, seppur da gregario ma con personalità, amato e stimato da tutti.

Per una decina di anni non si hanno più notizie di The Jazz Butcher quando nel 2012 torna con “Last of the Gentleman Adventurers”, fieramente autoprodotto. La sua opera è contraddistinta da una fervida passione per letteratura e cinema e dall’impegno sociale, elementi che permeano anche l’ultimo album pubblicato dalla Tapete il 4 Febbraio 2022. “The Highest Of The Land” si unisce a epitaffi come “Blackstar” di David Bowie e “Pop Crimes” di Rowland S. Howard similmente registrati negli ultimi giorni di vita e che fanno di tutto per non esserlo: lottiamo contro la fine, portando il talento oltre l’ostacolo. Tra poesia e ambientazioni jazz, la riverenza per Bob Dylan e la new-wave, Pat Fish mette insieme una raccolta di canzoni splendide, tra sarcasmo (“My hair’s all wrong / My time ain’t long / Fishy go to Heaven, get along, get along,” in “Time”) e urgenza (“I said I would break my stupid life in two/For half an hour alone with you” di “Never Give Up”) con un tocco cosmopolita per “Sea Madness”. Il disco prodotto da Lee Russell (già con The Moons e Nada Surf) è l’ideale partenza per scoprire questo grande cantautore, uomo di mondo portatore di pace.

Foto in Home di Jooles Joyce