DRIVE-BY TRUCKERS, “The Unraveling” (Ato Records, 2020)

I Drive-by Truckers si riaffacciano sulla scena musicale dopo “American Band” del 2016, l’album più politico e vibrante dell’intera carriera dei georgiani, con “The Unraveling”, un lavoro figlio dell'”introspezione degli ultimi tre anni e mezzo, che sono stati tra i più tumultuosi che il nostro paese abbia mai visto” nelle parole del leader Patterson Hood, vittima con il collega singer/songwriter Mike Cooley di un blocco creativo. Che non si evince da questi nove brani fervidi di idee e suonati magistralmente – i nostri hanno registrato quasi tutto in analogico e presa diretta con David Barbe e Matt Ross-Spang ai Sam Phillips Recording Service di Memphis.

La traduzione del titolo (“il disfacimento”) riassume l’umore plumbeo del disco, con la bella immagine di copertina dei due ragazzini cowboy spiegata in “Babies in Cages” – I’m sorry to my children, I’m sorry what they see/ I’m sorry for the world that they’ll inherit from me/ Standing on the beach watching the tide go out/ Babies in Cages – una sorta di jam swamp-blues tra Dr. John e la Jimi Hendrix Experience; il singolo di lancio è affidato alla springsteeniana “Armageddon’s Back In Town Again” in cui Patterson Hood attraversa l’intera nazione americana per sfuggire all’ecatombe “creata” da lui stesso (I take my responsibility/ For the darkness and the pain): evidente il riferimento a Donald Trump come nel video di “Thoughts and Prayers”, dove la gente comune esprime il proprio dissenso in strada pacificamente in un metaforico ritorno agli anni sessanta.

Mike Cooley è artefice di due soli episodi del lotto, ma che canzoni: per “Slow Ride Argument” mi approprio del concetto espresso da Hamilton Santià su queste pagine riguardo a “A Blessing And A Curse” (2006) di un rock’n’roll senza fronzoli; mentre in “Grievance Merchants”, dalla melodia tanto rotonda quanto aspra già tipica di Neil Young con i Crazy Horse, denuncia la violenza suprematista dell’uomo bianco. Sul fronte Patterson Hood da segnalare “Rosemary with a Bible and a Gun” per l’arrangiamento sinuoso ed elegante – quasi un gospel per archi che non sfigurerebbe in “Automatic For The People” – e “Heroin Again” che tratta uno degli ultimi mali degli States, l’allarme oppioidi, in cui la band gira al massimo, dall’attacco al basso di Matt Patton ai ricami d’organo di Jay Gonzalez.

La caratura emozionale dei brani rimasti fuori dal racconto (“21st Century USA” e la catartica “Awaiting Resurrection” a fine album) non fa che avvalorare la tesi, che cresce con gli ascolti, di avere tra le mani ben più di un semplice disco di transizione nel percorso dei Drive-by Truckers.

(Matteo Maioli)

76/100