METRONOMY, “Metronomy Forever” (Because Music, 2019)

I Metronomy di Joseph Mount sono nati ben prima di quel “The English Riviera” che è stato un successo a tutto campo nel 2011. Andando per ordine sono stati il progetto prevalentemente strumentale di “Pip Paine” (2006), poi la macchina synth pop di “Nights Out” (di cui si è celebrato il decennale). In seguito, appunto, “The English Riviera” ha fatto da spartiacque, allontanandosi dall’approccio casalingo  dominato da quel suono tipo “casio con le pile scariche”, vero trademark fin lì. La release del 2011, infatti, oltre al cambio di line-up ha portato più dinamica, più organizzazione nella scrittura, medesima essenzialità come resa. E stessa retromania, anche. Magari solo declinata diversamente, più indietro ancora, in quanto a riferimenti.

Da quel punto lì in avanti, però, la capacità di rinnovarsi nel nome Metronomy si è abbastanza annebbiata. “Love letters” (2014) era una circolare sul solco di “English Riviera” che girava senza elevarsi mai. “Summer 08” usciva dal binario, sì,  ma per andare verso qualche fermata disco senza tanta ispirazione. A questo punto è sembrato chiaro: andare indietro non era più un andare anche avanti.

E si è arrivati a “Metronomy Forever” e ai suoi singoli anticipati nei mesi scorsi. Ci si è arrivati non senza alcuni dubbi e la sensazione che Mount, il suo l’avesse già detto. È un disco disomogeneo, incongruo, con qualche toppa ma in certa misura esplosivo. Ironico a partire dallo slancio al futuro nel titolo (prendere il video di “Walking In The Dark”). Presenta quasi tutti i lati di Metronomy in un colpo solo. Strumentali (“Lying Low”), canzoncine pop, melodie zuccherine, impennate new wave. Rock e tastierine, dritte e oblique. Non così dissimile dalla roba che ascoltavamo nelle compilation Kitsuné. Oppure quel che abbiamo soprannominato”drugapulco”, così come certo “polleggio” francese (“The Light”). Cose da video homemade del “vecchio” youtube, quelli con gli spezzoni dei b-movies dell’80. Sta tra i Phoenix e gli Hot Chip sfiorando anche Neon Indian ed M83.

“Metronomy Forever” racconta di un presente e di un passato piuttosto prossimo di cui abbiamo già un’irrazionale nostalgia. È un disco che si prende in giro nel dichiararsi “per sempre”, dal momento che “sempre” non esiste. E così diventa impalpabile, sia nei suoi momenti di cazzeggio (“Caramel Salted Ice Cream”) quanto in quelli più intensi (“Wedding Bells”, “Lately”). Autocelebrativo nella sensazione di rappresentare qualcosa di riconosciuto, modesto e autentico nella consapevolezza della volatilità del tempo, delle persone, della musica pop.

78/100

(Marco Bachini)