WILCO, “Sky Blue Sky” (Nonesuch, 2007)

Devo confessarlo, il sesto album dei Wilco arrivato dopo l’ennesimo cambio di formazione, non mi aveva convinto subito. Mi ci sono voluti diversi ascolti per entrare negli assoli di Nels Cline e nelle trovate del polistrumentista Pat Sansone i nuovi acquisti della band, ormai sestetto, con cui avevano già registrato l’unico live ufficiale l’anno prima (“Kicking Television: Live in Chicago”) .
Era prevedibile che con il cambio di formazione e la disintossicazione di Jeff Tweedy dagli oppiodi qualcosa doveva cambiare. Il gurppo si trovava ad un bivio e dopo le sperimentazioni di “A Ghost is Born” e le tribolazioni di “Yankee Hotel Foxtrot” non poteva proseguire tra dipendenze e tensioni. La scelta dei due nuovi elementi e il ritorno a casa, al Loft di Chicago, si rivela vincente, creando una nuova coesione chiaramente udibile a registrazioni ultimate.

Ma andiamo con ordine.

Anticipato dall’ormai abituale streaming ad un paio di mesi dall’uscita, l’album inizia a circolare clandestinamente ben prima del 15 maggio 2007 e nonostante questo l’album riesce a ripetere le vendite dei precedenti (90mila copie nella prima settimana). A dirla tutta c’era stato anche l'”aiuto” dato dalla cessione di ben tre brani ancora inediti alla Volkswagen che crearono non pochi malumori tra i fan, ma è un’altra storia.

In cinquanta minuti i dodici brani danno sfogo alle diverse anime della band. Per forza di cose il sound viene spostato verso le sei corde e portato alla massima espressione in “Impossible Germany” con un Nels Cline che inanella uno dei migliori assoli degli anni 2000. La nuova via si sente nella ricchezza e la pienezza di “Side With The Seeds” e “Shake It Off” dove i territori sono quelli più vicini al post-rock che al folk.

Tutto ciò non spaventi il fan della primissima ora, siamo sempre in disco dei Wilco dove Jeff Tweedy non si risparmia in quanto a songwriting. Si ascolti la title track, che ormai stenta ad uscire dai live, un folk puro e senza pretese ma incredibilmente profondo oppure la notevole “Hate it here” con il suo pop-folk perfetto dall’intrigante arrangiamento(grazie a Pat Sansone) e il testo tutto da cantare “I’ll check the phone/I’ll check the mail/I’ll check the phone again/I call you’re mom/She says you’re not there/And I should take care/Oh, I hate it here/When you’re gone/I hate it/I hate it here/When you’re gone” che la rende un must senza tempo.

Si parlava di ritrovata serenità, del ritorno alla vita e della riabilitazione di Tweedy e la canzone “Please Be Patient With Me” è lì a ricordarcelo con il canto sussurrato e gli arpeggi appena accennati ci fa capire cosa significhi riemergere e chiedere perdono.

In modo diverso esprime la libertà di vivere “Walken”, brano che si avvicina molto al sound del progetto Golden Smog a cui Tweedy ha partecitato insieme ad altri esponenti di alt-country. Tocca alla conclusiva “On and on and On” dare un degno finale (“Please don’t cry/This world of words and meanings/Makes you feel outside/Something that you feel already/Deep inside/You’ve denied/Go ahead and cry/On and on and on” ) ad un disco che segna un netto cambiamento, tracciando un solco che ancora oggi, con qualche necessaria variazione, la band continua a seguire “On and on and on”.

78/100

(Raffaele Concollato)