WILCO, “Summerteeth” (Reprise Records, 1999)

“Being There” era stato per i Wilco una nuova partenza, in cui Jeff Tweedy aveva finalmente trovato la propria voce autoriale. Le cose da allora si mettono in moto, con riscontri di pubblico in miglioramento anche se non proprio esaltanti. Mentre iniziano a lavorare al terzo album, i Wilco si imbarcano nel progetto “Mermaid Avenue”, in cui assieme a Billy Bragg si confrontano con un mostro sacro come Woody Guthrie, il padre del cantautorato folk da Dylan in giù. Tweedy e soci sembrano darsi da fare per essere riconosciuti tra i più promettenti figli della scena alt-country.

Tuttavia, quando tornano in studio per completare la nuova fatica discografica, i Wilco compiono un salto inatteso: sebbene registrato in Texas, e quasi contemporaneo alle sessioni di “Mermaid Avenue”, “Summerteeth” non suona come un album di roots rock; si sente molta meno America che in passato. Lo spettro sonoro si arricchisce di riverberi brit-rock, di power pop; l’orizzonte dei Wilco non è solo Gram Parsons e Neil Young ma si allarga a Kinks, Beach Boys, Big Star.

Il risultato più immediato e manifesto è una vena pop strabordante: “Summerteeth” trabocca di armonie vocali, di ritornelli contagiosi. Dall’apertura di “Can’t Stand It” all’incedere caracollante di “I’m Always in Love”, dal petardo power pop di “Nothingevergonnastayinmyway” alla corsa a perdifiato di “ELT”, l’album è un pendolo frenetico che fa la spola tra la West Coast e la British Invasion, mescola cori e fanfare di moog; il tutto a dispetto di un clima tutt’altro che solare.

Se infatti il suono si fa più luminoso, i testi di Tweedy sono ben lontani dall’esserlo: Jeff si addentra sempre più nei recessi oscuri del proprio animo, quelli che rischiano di far crollare tutto, dalla famiglia alla band alla vita tutta. I brani di “Summerteeth” sono basati su confessioni di sentimenti inconfessabili, di cui vergognarsi o ridere di una risata amara, quasi sardonica. La scrittura matura ulteriormente, si fa più narrativa e meno impressionistica che in passato. Grande esempio è la ballata onirica “Via Chicago”, che fonde in un sogno assurdamente sereno la nostalgia di casa con l’immagine della persona amata uccisa. Diventerà un classico dal vivo, soprattutto con la formidabile formazione post-2004.
Su un registro non troppo lontano “How To Fight Loneliness” e la conclusiva “In A Future Age”, mentre su “A Shot in The Arm”, altro futuro classico live, si porta a compimento l’equilibrio precario tra le parole amare, quasi abrasive di Tweedy e l’andamento pop energico, sporcato da un poco di inedita elettronica.

“Summerteeth” è anche indubbiamente l’album di Jay Bennett: coautore di quasi tutti i brani, è lui che sperimenta arrangiamenti stratificati e quasi barocchi al computer, che infarcisce i suoni di sintetizzatori analogici e infila il mellotron dove la pedal steel guitar sarebbe stata la scelta “naturale” (ascoltate ad esempio “She’s a Jar”). Giocando sempre sul filo dell’eccesso, su “Pieholden Suite” gareggia con sé stesso nel cambiare registro quante più volte in poco più di 3 minuti. Jeff Tweedy sembra aver trovato con Bennett un sodalizio autoriale proficuo, il perno che i Wilco andavano cercando nei frequenti cambi di formazione e nelle “crisi di identità” che scandiscono i loro primi anni di carriera. Non durerà: nubi scure si addensano nell’orizzonte personale e artistico dei due.

Per il momento, “Summerteeth” rappresenta un grande traguardo per il binomio Tweedy-Bennett e un nuovo apice nella carriera della band. I Wilco sono finalmente usciti dal bozzolo: hanno dimostrato di poter trovare una propria via oltre l’alt-country con una cifra stilistica che non ha più paragoni nella loro scena di provenienza. Il nuovo orizzonte è quello delineato da gente come Flaming Lips o Mercury Rev: sul finire del decennio ‘90 i figli della nazione alternativa americana sembrano voler uscire dall’estetica slacker per andare alla ricerca di una neoclassicità rock alternativa, contemporaneamente nostalgica e figlia delle nuove tecnologie digitali e delle loro infinite possibilità di bricolage. Per i Wilco post-”Summerteeth” si aprono mille possibilità, the sky is the limit: ma per reinventarsi nuovamente rischieranno di precipitare agli inferi.

90/100

(Stefano Folegati)