I Wilco a Padova, un inno alla gioia lungo due ore

WILCO, Gran Teatro Geox, Padova, 20 Settembre 2019

Appena terminato un #WilcoDay kalporziano pieno di ottimi contributi ho il sommo piacere di vedermi la band di Jeff Tweedy al Teatro Geox di Padova nella seconda tappa italiana di un tour europeo con una ventina di date alle spalle – molte esaurite, tutte con una tracklist diversa! a supporto di Ode To Joy in uscita il 4 Ottobre (qui rappresentato da sette brani su undici).

Per riordinare le idee nate in due ore di musica grandiosa torno a inizio serata (20.30) con l’esibizione delle Ohmme, giovane trio di concittadini dei Wilco formato dalle cantanti e chitarriste Sima Cunningham e Macie Stewart con il batterista Matt Carroll, all’attivo il disco “Parts” del 2018. La loro proposta è un mix tra ruvidezze grunge (“Water”) e blues-rock anni zero memore di Black Keys e The Kills (“Woman”), con il singolo “Icon” a distinguersi per originalità di scrittura; gli impasti vocali creati dalle due frontwomen tradiscono le influenze di Kate Bush e Elizabeth Fraser dei Cocteau Twins ma ne esce sicuramente qualcosa di desueto nel panorama indie attuale.

Location moderna seppur vincolata dai posti a sedere, il Gran Teatro si riempie fino all’ultimo minuto sfiorando le tremila presenze; la caratteristica struttura rotonda favorisce la visuale e l’acustica da ogni posizione così che i Wilco, in line-up fissa dal 2004 con Jeff Tweedy voce e chitarre, John Stirratt al basso e seconda voce, Glenn Kotche alla batteria e percussioni, Nels Cline alla chitarra solista e slide, Mikael Jorgensen alle tastiere e il “jolly” Pat Sansone, hanno potuto garantire uno spettacolo magnifico alla pari degli artisti più grandi che ho visto – da Neil Young ai Radiohead passando per Yo La Tengo e Bob Dylan – con un filtro contemporaneo.

L’abbrivio è nei due brani che introducono il nuovo lavoro, l’intimista “Bright Leaves” e il folk-rock marziale di “Before Us” in cui Tweedy dà la sua visione del futuro, “Remember when wars would end/ Now when something’s end/ Now when something’s dead/ We try to kill it again“; segue la classica “I Am Trying To Break Your Heart” da Yankee Hotel Foxtrot dove accordi di piano e trattamenti elettronici emergono chitarre di impronta smithsiana ed il grido sui versi “Disposable Dixie-cup drinking/ I assassin down the avenue/ I’m hiding out in the big city blinking/ What was I thinking when I let go of you?” testimonianza di un’umanità sempre più in crisi ed egoista oggi come nel 2001-2002. “One Wing” regala un crescendo da pelle d’oca mentre “One And A Half Star” e “Hold Me Anyway” sembrano uscire da Pet Sounds grazie all’arrangiamento sinuoso unito ad una melodia nostalgica; promette bene anche l’altro inedito “White Wooden Cross”, pezzo più veloce che trasuda di sonorità esotiche à la Graceland con un immenso Glenn Kotche. La ballad in stile americana “If I Ever Was A Child” chiama il pubblico al battimani ma è su “Handshake Drugs” che avviene la prima scossa tellurica, nel travolgente dialogo tra le sei corde di Nels Cline e Jeff Tweedy come se i Grateful Dead descrivessero un incubo metropolitano in chiave new wave, “The Taxicab Were Driving Me Around To The Handshake Drugs I Bought Downtown“.

Il blocco da Grammy Award prosegue con la roboante (e younghiana fino al midollo) “At Least That’s What You Said” e l’omaggio ai Beatles di “Hummingbird”: due facce della stessa medaglia, A Ghost Is Born del 2004, l’album scritto nel momento più tormentato dell’esistenza di Jeff Tweedy che è dovuto cadere per rinascere più forte di prima; esemplare il testo di “Impossible Germany” contenuta nel successivo Sky Blue Sky, di cui meriterebbe articolo a parte il guitar solo di tre minuti di Cline (scuola jazz) che neanche Mark Knopfler…”With no larger problems/ That need to be erased/ Nothing more important/ Than to know someone’s listening/ Now, I know you’ll be listening“. Lo precedono altri highlights come una “Via Chicago” – diamante di Summerteeth – in cui Tweedy e Stirratt uniscono le voci contro i rumorismi disturbanti del resto della band e “Bull Black Nova” da Wilco (The Album) con il suo passo tanto ipnotico quanto ossessivo al limite del kraut. “Reservations” dà lezioni di alt-country, laddove “Love Is Everywhere” è un nuovo classico della seconda fase della band; in “California Stars” Pat Sansone si cimenta addirittura al banjo: cosa chiedere di più? Il buon vecchio rock’n’roll. Being There. Pensando a T-Rex, The Who, Stones e Replacements. Così “Red-Eyed And Blue”, “I Got You”, “Random Name Generator” esaltano generazioni di ascoltatori nella formazione a tre chitarre, i riff killer e le mossette da animali da palcoscenico. Per i bis ci si sposta davanti a gustare i capolavori estratti da Foxtrot, tra il luccicante soul di “Jesus, Etc.” e una divertita “I’m The Man Who Loves You” all’ombra di Beck.

Ne vorremmo ancora, però si è fatta mezzanotte e ci attendono quasi duecento chilometri di auto e la sveglia delle 6.30. Li rifarei tutti i giorni, per i Wilco da Chicago.
PS Il video sotto documenta l’esibizione di “Misunderstood”. Guardatelo, è Immensità in musica.

La scaletta completa del live al Gran Teatro Geox di Padova:

(Matteo Maioli)