AFRICA FOR AFRICA no. 6: JAY MITTA, “Tatizo Pesa”

Nuovo capitolo della rubrica “Africa For Africa” (giustamente anche ridenominata AFA), che questa volta propone, a differenza del solito, un solo disco. Con il primo LP di Jay Mitta, producer e dj di Dar es Salaam in Tanzania, apriamo infatti una piccola finestra sul mondo della Nyege Nyege Tapes, la label di Kampala (Uganda) che sta lanciando novità e suoni all’avanguardia dalla regione africana attorno al Lago di Vittoria come questo sound “singeli” che si propone come musica del prossimo futuro, scardinando ancora una volta e sempre di più i luoghi comuni su di una parte del mondo che evidentemente tra mille difficoltà, sa guardare più avanti che l’uomo bianco.

JAY MITTA, “Tatizo Pesa” (2019)
Con questo disco apro una piccola finestra su una realtà discografica dedicata alla musica africana poco conosciuta, ma che da un paio di anni a questa parte, in crescendo, propone roba molto interessante e che ha la propria base operativa a Kampala, la città capitale dell’Uganda, un milione e mezzo di abitanti sul Lago Vittoria nel profondo del continente africano e in uno dei paesi che forse ha una delle storie più terribili e controverse per quello che riguarda il post-colonialesimo e marcata dalla figura oscura di Idi Amin. Il contesto remoto ci rimanda immediatamente col pensiero a territori segnati da laghi e fiumi, foreste equatoriali e la caratteristica savana, ma questo è e sarebbe un errore tipico dell’uomo bianco e che del resto non ha nessuna cognizione di quello che è lo stato e la condizione di posti che geograficamente, ma anche per ragioni di natura opportunistica e primariamente economica e geopolitica, continuano a essere lontani e che immaginiamo in una maniera poco concreta e legata a una specie di iconografia obsoleta e classista.

In questo senso il lavoro della Nyege Nyege Tapes va nella direzione non solo di offrire un quadro su quella che è la scena musicale della regione, ma anche di sconfessare questa visione che è oggettivamente antiquata e che poi diventa un modo per descrivere in un unicum realtà che sul piano storico e contestuale sono completamente differenti, quindi come dimostrare che quelle che sono sonorità “hype” nei diversi generi, e qui parliamo specificamente di musica elettronica e trip-hop, siano poi qualche cosa che adesso supera anche confini che fino a ieri potevano apparire insormontabili e che infine adesso sono solo nella nostra testa.

Qui abbiamo questo ultimo disco, “Tatizo Pesa”, che è di un artista che proviene dalla Tanzania, dall’altra parte del Lago Vittoria, la capitale Dar es Salaam, quasi cinque milioni di abitanti sull’Oceano Pacifico di fronte l’isola di Zanzibar, dove Jay Mitta è uno dei più apprezzati e conosciuti producer e con questo disco si presenta praticamente al mondo occidentale con un sound che si può definire cool e all’avanguardia nel campo dell’elettronica, tanto che lo stesso Guardian vi dedicò un articolo lo scorso dicembre e nel quale viene raccontata la storia di questo genere, il “singeli”, sviluppatosi proprio nei sobborghi della capitale e fondamentalmente costruita su loop frenetici elaborati con software rudimentali e l’utilizzo di vecchie tastiere, in questo caso parliamo di registrazioni effettuate per lo più con l’ausilio di una vecchia Casio.

La scena si è sviluppata attorno a figure come quella di Jay Mitta e del DJ Sisso, che poi è anche il proprietario degli studio dove è stato registrato l’album, ed è stata letteralmente lanciata proprio dal festival omonimo organizzato dalla Nyege Nyege Tapes.

Adesso, che vi sia una connessione con la musica tradizionale swahili e quelli che possono essere rigurgiti e espressioni di una cultura tribale e selvaggia, comunque comune a tutti i popoli della Terra, questo è inevitabile, ma nell’amalgama tra passato e avanguardia, qui spicca soprattutto quest’ultima che in maniera originale e autentica poi si pone su di un piano trasversale alla musica da club e dissonenza breakbeat asimettriche e imprevedibili. Persino assordanti. È un disco difficile, ossessivo ai limiti della paranoia, capace di fare esplodere la testa anche a chi ha la pretesa di starci sempre dentro. Forse è la musica del futuro? Difficile da dire. Probabilmente però non avete mai ascoltato nulla del genere e il fatto che uno degli astri nascenti del genere, Dogo Janja (presente come guest proprio in questo album), abbia solo 14 anni, ci fa sentire tutti quanti un po’ più vecchi.

(Emiliano D’Aniello)