Nada Surf, Tunnel, Milano, 5 aprile 2018

La cosa che mi lascia piacevolmente confusa appena mi metto in fila per entrare al Tunnel è l’età media delle persone che mi circondano: la maggior parte della piccola folla si aggira attorno ai quaranta e mi rendo conto veramente di cosa voglia dire celebrare il 15esimo anniversario di un disco che ha dato la svolta ad una carriera musicale.

Io mi trovo lì con uno strano formicolio allo stomaco, rientrata poco prima nel mio corpo da quattordicenne, ad attendere che uno dei miei gruppi preferiti entri, per la prima volta live, nelle mie orecchie (lo dico senza alcuna vergogna: li ho scoperti grazie a One Tree Hill, teen drama dei primi 2000 che tutt’oggi considero pietra miliare della mia formazione sentimentale – e musicale, grazie Peyton per tutti i bei gruppi che ascoltavi e per la mia credibilità che ho appena buttato al vento).

“An evening with Nada Surf” è il nome della serata, come se fossimo tutti lì per riunirci ad una rimpatriata con dei vecchi amici, due birre e pacche sulle spalle.
“Let Go” è indubbiamente l’album storico della loro carriera (anche se per quanto mi riguarda sul piedistallo a fianco lo saluta “The Weight Is A Gift”), come racconta poi Daniel Lorca, il bassista, durante una pausa tra un pezzo e l’altro; Lorca in questa serata è visibilmente preso bene, chiacchiera, beve, sorride mentre si lascia trasportare dalla piega amichevole che sta prendendo il concerto: perché il terzo album e non il primo? – dice agitando la birra che ha in mano – Perché è quello in cui ci siamo davvero sentiti genuini, senza le pressioni di una casa discografica, senza manager, nella completa libertà di scelta su cosa fare di noi stessi, e l’abbiamo fatto insieme a voi.

Ed è un po’ come se lo stesso spirito si fosse rinnovato sul palco che sta davanti a me, mentre partono con una tradizionale “Blizzard of ‘77” per poi continuare senza nessun preambolo, senza fronzoli, a sentimento, con delle splendide “Blonde on Blonde” e “Inside of Love” (cantata a squarciagola da tutta la sala). La voce di Matthew Caws è proprio la stessa, delicata e confidenziale, che ho ascoltato infinite volte nei miei auricolari, non mi sembra vero: parte dolce e malinconica “La Pour Ca” e capisco che vogliono continuare a mantenere questo tono rilassato ancora per un po’. Nella prima ora ci regalano dei veri momenti di occhi chiusi, ondeggiamenti e retrogusti nostalgici, alla “Paper Boats”, dopodiché a sorpresa Matt se ne esce con una pausa di una quindicina di minuti imprevista.

Mi prendo un cocktail, mi guardo attorno: sono tutti così contenti di essere tornati ai quindici anni precedenti della loro vita, sforzandosi di non far vedere troppo il sorrisone che sta nascendo sulle loro facce (si, anch’io gongolo con fare ebete sperando che le luci del locale si spengano di nuovo).
Eccoli, tornati e cambiati (fa un caldo tremendo al Tunnel), riattaccano per la seconda parte di concerto, ben decisi su una cosa: vogliono farci muovere, e devo dire che sanno quel che fanno. Poco dopo siamo tutti saltellanti e sudati al ritmo di “Weightless” e “Treading Water”, poi socialmente incazzati con “Popular” e “Firecracker”, svuotati con “Your Legs Grow” (tratteneteli voi i lacrimoni mentre arriva il verso “you’re the only person in the world I feel that way about” ripensando alle prime tempeste sentimentali della vostra vita, vi sfido), di nuovo leggeri con “Imaginary Friend” e, a questo punto, iniziano a salutarci davvero regalandoci un’energica “Always Love” e una esplosiva “Blankest Year” (“oh fuck it, I’m gonna have a party!” ripetuto come sfogo per una decina di volte prima di far scemare le chitarre).

In questo concerto, in crescendo, i Nada Surf hanno mollato davvero le briglie per abbandonarsi completamente alla bellezza e al piacere di ritrovarsi, ora come quindici anni fa, liberi di scegliere al momento, d’istinto. Un suono di certo più maturo, più sicuro nell’esecuzione, ma che rispecchia un percorso che sa a cosa deve le proprie origini. L’atmosfera intima e affettuosa l’ha reso uno spettacolo liberatorio per tutti i presenti – e in effetti, a ripensarci, questo spirito non sta proprio nella natura di un album come, neanche a volerlo dire, “Let Go”?

 

(Chiara Toso)