THE SOFT MOON, “Criminal” (Sacred Bones, 2018)

Bene, stare in uno schema stanca. Stanca nel senso che logora, sfrega, rabbuia e genera anche qualche piaga. Ma  quello delle derivazioni dark wave è uno schema che può intrinsecamente avere  in ascisse e ordinate proprio qualcosa come buio, piaghe e sfregamenti. Dunque, se c’è un posto in cui la ripetizione a oltranza di certe proprie istanze non è necessariamente un male assoluto, quello è il mondo che The Soft Moon (in sostanza Luis Vasquez) frequenta da una decina di anni. In parole povere, se all’attuale cambio di etichetta (da Captured Tracks a Sacred Bones) non avesse fatto seguito una rivoluzione nei suoni saremmo stati comunque  clementi con Vasquez.  Il precedente “Deeper” (ancora su Captured Tracks) aveva esercitato un’azione di parziale ripulitura rispetto a “Zeros”: buone canzoni, voce più intellegibile, meno violenza, qualche momento atmosferico e un’omogeneità del tipo che non guasta.

“Criminal”, invece, sa essere per buona parte un’altra cosa ancora. Poche tracce di “Deeper” starebbero bene qui dentro e viceversa. Un mezzo miracolo, insomma. Luis Vasquez, come si sa, ha anche qualche piacevole e spiazzante nota di ambivalenza. Sì, è una sorta di alieno che viene dalle tenebre ma è anche uno che incrocia le nostre strade. Nel senso dei lunghi periodi trascorsi a Venezia, gli show in giro per l’Italia, la preziosa collaborazione di Matteo Vallicelli e di Maurizio Baggio. E non a caso anche “Criminal” ha preso la sua spigolosa forma nel nord est, alla “Distilleria” di Bassano del Grappa.

Il tratto forte del nuovo album è l’accento sul piano ritmico: fluido anche quando taglia, ordinato anche se devasta quel che trova davanti. In poche parole, il tratto industriale è la componente dominante o almeno è la parte emersa dall’abisso di saturazione. Stavolta ci si può allontanare abbastanza da nomi come Cold Cave e Blank Dogs. Ad ascoltare la nuova produzione viene invece più spontaneo e più forte ancora quel rimando  a “The Downward Spiral”. Forse pensare a Reznor ci aiuta a intenderci su cosa vuole (e sa) essere “Criminal”. Per esempio, “Like A Father” è dancefloor e lamiere insieme. In tutto l’album ci sono poi queste liriche sul senso di colpa accompagnate da percussioni che sono frustate autoinflitte. “Burn”, che abbiamo conosciuto mesi fa come singolo è praticamente a centimetri dal metal. E poi c’è comunque la fase centrale del disco (“Pain” e “It Kills”) a rappresentare l’anima più classicamente gotica in humus noise. Sì, in linea di massima si sta bene come quando si resta chiusi tre ore in ascensore . Ma lo sferragliare che sentiamo è di quelli che stanno lavorando per aprire e allora tutto OK.

74/100

(Marco Bachini)