FIRST AID KIT, “Ruins” (Columbia Records, 2018)

Esiste una linea sottile, quasi invisibile, che separa il bello dal brutto, l’ovvio dall’imprevedibile, lo stile dallo scempio. Nell’arte della musica, personalmente, ho sempre amato non chi ha cercato di tenersi alla larga da quel confine, ma chi ci ha danzato in equilibro, rischiando anche di caderci dentro, sperimentando e prendendosi dei rischi enormi. Volete un esempio? Ariel Pink è kitch all’inverosimile, eppure, non ha mai oltrepassato il limite della mediocrità. Come dire, sono tamarro, gioco col fuoco ma non mi scotto, perché ho bene in testa quello che deve venir fuori dalla mia musica. Poi ci sono gli artisti che stanno alla larga da quel baratro di confine, non per paura, ma perché la loro proposta musicale deve stare in certi standard. Oltrepassarli significherebbe non dare un prodotto puro, imbastardire un concetto, destabilizzare l’ascoltatore.

Le due sorelline svedesi Soderbergh, giunte al quinto disco, fanno parte di questa categoria, indubbiamente. La loro musica è rassicurante, pulita, romantica, pastorale, che non so cosa significhi esattamente ma il suono rende l’idea. “Ruins” ha (avrebbe) tutte le carte in regola per sfondare. Perché non lo farà? Perché se avete bisogno di una canzone alla PJ Harvey nuovo corso (“Rebel Heart”, posta in apertura è davvero epica) andrete direttamente a riascoltarvi i vostri dischi di Polly Jean, che non solo adorate ma idolatrate perché lei gioca davvero da anni su quella linea di confine. Se poi il pop deve contenere un po’ di dream e parte “Fireworks”, la vostra mente non cerca di capire perché i Beach House fanno la stessa canzone con un pochino più di sofferenza? Forse perché il loro è stato un percorso poco studiato a tavolino?

Sono solo domande le mie, il disco scorre davvero a meraviglia; il country/folk corale di “It’s a Shame”, il fingerpicking di to “Life a Life”, la bella ballata pianistica ma straniante “My Wild Sweet Love”, la classicità di “Distant Star” e il finale con i feedback all’acqua di rosa non mi danno nemmeno fastidio. Allora perché tutto questo distacco per un prodotto oggettivamente ben suonato? Perché ho fatto un giro su quella linea una volta. Ho visto il fuoco, ho visto tanti sax, ho visto i cori che da aggraziati diventavano sgraziati. “Ma perché ti piace quella roba?”, mi continuano a dire. Perché è sicuramente più simile alla vita, tutto qui.

60/100

Nicola Guerra