R.E.M., “Monster” (Warner Bros, 1994)

rem monsterCon “Automatic for the People” (1992) i R.E.M. raggiungono la maturità. E si sa, quando con un disco si raggiunge l’apice della creatività diventa ancora più duro ritornare in studio di registrazione. I R.E.M. non fanno eccezione. Nel periodo post-Automatic Michael Stipe soffre del blocco dello scrittore, il destino incombe infausto sul gruppo: il 31 Ottobre 1993 muore l’attore River Phoenix (“Belli e Dannati”, “Stand by me”), carissimo amico di Stipe. A fatica il gruppo incomincia a lavorare ed un nuovo lutto colpisce la band, muore Kurt Cobain (Nirvana) e, come se non bastasse, per un brevissimo periodo Mike Mills finisce in ospedale. ”Monster” non nasce certo sotto i migliori auspici.

Il risultato è un disco fosco, caratterizzato dall’ombra incombente di ossessioni, squilibri, relazioni sentimentali dalla logica perversa. Le atmosfere criptiche descritte nei testi trovano forma nella musica, in un rock acido, veste nuova per il gruppo. I R.E.M. realizzano il tanto annunciato disco rock, arriva inaspettato sulla scia della moda grunge ma non è una pallida imitazione di stilemi abusati o stantii: Stipe e compagni non fanno l’occhiolino interessato a certe sonorità, anche se ne sono evidentemente influenzati. Non è un caso, quindi, che Thurstoon Moore, leader dei Sonic Youth, partecipi come seconda chitarra in “Crush with eyeliner”. Infine, per la prima volta nella discografia della band, la voce di Stipe passa in secondo piano per lasciare spazio alla chitarra di Buck. A tratti il cantato di Stipe è quasi irriconoscibile, robotico in “King of Comedy”, in falsetto in “Tongue”. Le parole sono sovrastate da riverberi sonori, dopo anni Buck si è finalmente deciso a rispolverare l’amplificatore; il suono di insieme è primitivo ed asciutto (“Crush with eyeliner”, “Took your name”, “Circus Envy”, “King of Comedy”), quasi un disco hard rock e chi se lo sarebbe mai aspettato dai R.E.M..

Questo nuovo approccio della band destabilizza i detrattori e sorprende in positivo/ negativo i fan della prima ora, delude chi si aspettava un nuovo “Automatic for the people”, incontra i pareri favorevoli di chi desiderava da tempo ascoltare “i R.E.M. in chiave rock”. Il passato, però, non si scorda facilmente, non si cancellano quattordici anni di carriera in un minuto, ed ecco che compaiono canzoni in perfetto “stile R.E.M.”: “Strange Currencies”, “I don’t sleep”, “I dream”.

In conclusione del disco non manca poi una dedica all’amico Cobain, “Let me in”, un brano struggente, che unisce musica e testo: il muro del suono riproduce metaforicamente quella barriera fisico-mentale in cui si è rinchiuso Cobain. Stipe cerca di entrare nell’universo del cantante dei Nirvana ma non ci riesce e “Let me in” testimonia questo fallimento.

75/100

(Monica Mazzoli)