[live] Way Out West 2016, Göteborg, day 1

Way-Out-West-2016-9-AudienceDecima edizione da record per il Way Out West che porta nel cuore della seconda città svedese per dimensioni il meglio dei nomi in giro in Europa nelle prime due settimane di agosto. Oltre trentamila presenze che lo rendono un evento imponente rispetto ai numeri cui siamo abituati dalle nostre parti, ma certamente vivibile e umano, rispetto ai mega-raduni estivi di luglio/agosto. Gli spazi sono stati leggermente ampliati, anche se non se ne sentiva particolarmente la necessità, l’educazione è diffusa e anche le sbronze sono sempre pacate e controllate. Non solo per i prezzi, cui gli svedesi (99% o poco meno dei presenti) sono senz’altro abituati. Inevitabilmente l’edizione verrà ricordata per la sfortunata serie di defezioni che si sono accumulate per motivi indipendenti dalla volontà del festival che ha un budget assolutamente invidiabile: per motivi di salute The Kills e poi Antony con il suo nuovo progetto ANOHNI hanno cancellato alcune tappe europee tra cui quella al WOW, le Haim hanno cancellato la leg europea, gli Avalanches hanno avuto ancora una volta problemi di visto, Travis Scott ha dato pacco un giorno prima o poco più e persino la sua sostituta, Kelela, è stata cancellata la mattina prima del suo show per problemi logistici.
Paradossalmente il re dei bidoni, Morrissey, si presenta puntualissimo sul palco, headliner della prima giornata, mentre The Libertines costretti inizialmente a cancellare il loro show, sono spostati in extremis da giovedì a venerdì per sopperire alla rinuncia last minute di Antony. Difficile trovare un festival medio-grande più adatto a Morrissey, visto che per il terzo anno consecutivo, il Way Out West è al 100% un evento vegano, per pubblico, vip e catering artisti. Nessuna scusa per Moz, insomma.
Come sempre il festival va avanti fino alla seconda serata nel suggestivo parco di Slottsskogen, dalle 23 in poi si sposta in altre cinque location sparse per la città.
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Nella prima e unica giornata di sole del weekend, il battesimo del fuoco tocca a due artiste molto diverse: la producer Ishi Vu che vi abbiamo presentato qui e l’amica e collaboratrice di Sufjan Stevens, Basia Bulat. Come capirete, il leitmotiv di quest’anno è la quota rosa sopra le medie tra i nomi in cartellone. Una tradizione consolidata la presenza nella “riserva elettronica” del Dungen di Axel Boman, house producer di riferimento della scena svedese, accompagnato per l’occasione dall’immancabile presenzialista festivaliero John Talabot. La connection scandinavo-catalana funziona, ma non sono nemmeno le 15: troppo presto per lasciarsi andare. Anche se qualcuno ci prova. Andrebbero avanti fino alle 17.30 ma nonostante le sovrapposizioni non troppo drammatiche, ci si perderebbe troppa roba.
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Il sole ispira atmosfere sudiste e country-folk: dall’Alabama l’ex Drive-By Truckers Jason Isbell a orario caffè coinvolge i primi avventori del parco con sonorità molto tradizionali. Le uniche forse in un festival che guarda come sempre agli ultimi trend del momento con un occhio sempre al gusto londinese e americano. Sotto il tendone Linné, momento pericolosamente crepuscolare prima del tempo con i Daughter che regalano una performance onesta, intima e sussurrata, accolti con clamore soprattutto dai più giovani. Elena Tonra sa essere conturbante e oscura anche sopra ai suoi standard, e questo della songwriter oscura, scoprirete, è un altro dei temi del 2016.
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Le birre scorrono già senza limiti nelle consuete bottiglie di plastica riciclabile, ma servirebbe uno scossone alla giornata, che per fortuna arriva subito, grazie all’idea bislacca dei promoter di fissare lo show di M83 nel primo pomeriggio. Una decina d’anni fa, quando si districava tra location intime e raccolte di tutta Europa, sarebbe stato anche plausibile. Ma suona un po’ strano, dopo gli ultimi due dischi che hanno spostato la proposta musicale di Anthony Gonzalez su territori electro-pop, french touch e revival 70/80 nell’accezione per quanto più possibile patinata e comune ai Daft Punk di “RAM”. Poco importa: il set è potentissimo. Il sole sbatte su un tappeto di chiome bionde ed è davvero dura non farsi trascinare dagli ante di “Junk” e dai ripescaggi da “Hurry Up, We’re Dreaming”. Quando parte “Midnight City”, i seguaci più occasionali della band francese accorrono di corsa per partecipare al primo vero momento da festival estivo. Cori, battimani e cose del genere.
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Ancora una donna e primo momento veramente black del weekend, con l’ammaliante voce di Laura Mvula, soul singer di Birmingham, alla seconda prova su disco, “The Dreaming Room”, presentato in questo tour estivo. Qui sembra avere anche numerosi, autentici fan, nonostante le prime ingloriose sovrapposizioni. Pensate un po’ da noi, invece. Un’altra voce femminile per atmosfere più leggere, sintetiche e frizzanti, sulla scia dello show di M83. Si resta in Europa, nella Scozia dei Chvrches. La minuta Lauren Mayberry è emozionata e divertita. Le gemme synth-pop della band di Glasgow sono un must per le generazioni indie contemporanee ed è inevitabile rispondere con sorrisi al suo sorriso naif.
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La giornata è ancora lunga e varia. Ancora una voce femminile che si troverebbe molto più a proprio agio tra le nebbie e le tenebre, guadagna il palco Linné: Anna Von Hausswolff, scelta come supporto dagli Swans, dà un’inquietante sferzata dark dal retrogusto noise che sembra avvicinare le nuvole, lontane dal parco di Göteborg, ancora per qualche ora. Un vento gelido rende l’aria autunnale e sembra davvero di vivere in un’altra stagione. L’artista svedese, come da previsioni, regala uno dei momenti più alti e intensi di questo improbabile pomeriggio estivo svedese. Nulla contro The Last Shadow Puppets, nonostante ci sia davvero poco da rimprovera sulla prova di Alex Turner e Miles Kane. Semmai ci sarebbe da dire qualcosa sul look, aspetto a cui tutti i partecipanti di questo festival sembrano tenere senza compromessi. Ma il discorso sarebbe molto ampio. Un Way Out West molto britannico, ma non mancano le eccezioni, almeno per oggi.

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Ad esempio, si vola idealmente dall’altra parte dell’Oceano con un’altra icona femminile oscura.
Mentre ci si avvicina a un crepuscolo molto più rassicurante e adeguato al mood generale, Chelsea Wolfe. Un’altra delle performance migliori della giornata, tra agghiaccianti discese negli inferi del revival gothic, digressioni folk da brivido e sferzate cacofoniche che consacrano la songwriter di Sacramento come una delle migliori artiste contemporanee del filone. I brani di “Abyss” hanno il giusto equilibrio tra pop e claustrofobie ai confini del boom. Scende il freddo, in tutti i sensi.
Un’altra artista, più giovane e sotterranea, smuove il palco curato da Red Bull Academy, la local Jessie Granqvist, anche lei presentatavi nella rubrica sulle novità svedesi. Anche nel mondo elettronico, la Svezia è più viva che mai.

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Come detto, saltati a sorpresa The Libertines, ma purtroppo rimandati al giorno dopo al posto di ANOHNI, l’unico protagonista “mainstream” della serata resta Morrissey: pubblico anagraficamente eterogeneo, scaletta impeccabile a partire dalla corale “Suedehead” d’apertura. Un solo classico dagli Smiths, “Meat Is Murder” che fa tanto omaggio a questo festival orgogliosamente eco e vegano. Nonostante i recenti problemi di salute, Morrissey appare in forma come nei tempi migliori. Non manca il comizio politico anti-Trump e anti-Clinton. Ma gli si perdona tutto, conoscendolo.
Si torna nell’attualità e nel futuro con Kaytranada che chiude il day program con un set molto liquido e coinvolgente, orfano dei vocalist che arricchiscono il celebratissimo “99,9%”. Se è uno dei producer del momento, un motivo ci sarà e il ventiquattrenne canadese di origine haitiana lo dimostra senza appello.

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La serata potrebbe finire qui, ma per la programmazione notturna dello Stay Out West, scegliamo di dirigerci verso il molo Bananpiren, area portuale sul canale principale della città con tre container e tre palchi, vera e propria summa del melting pot di generi musicali presenti nello Stay Out West: si passa in pochi minuti dal revival punk rock dell’icona dei Gallants, il redivivo Frank Carter con The Rattlesnakes che sale sul palco dopo i Beach Slang al metal black’n’roll norvegese degli straripanti Kvelertak. Il pogo e l’headbanging sono molto contenuti e scandinavi.
Poi un nuovo tuffo nell’indie punkettone da spiaggia con i Fidlar e il tunnel senza uscita a base di UK grime dei londinesi Section Boyz, gli unici a scaldare veramente la fredda notte del molo con lunghe code per accedere al palco Panama. L’hip hop in tutte le sue coniugazioni geografiche piace molto da queste parti.

Anche più dei profeti in patria Peter Bjorn & John (quelli di “Young Folks”) che regalano un set troppo incentrato sulle nuove produzioni per ravvivare la platea un po’ sbronza, un po’ stanca dalla maratona delle 2.30. In chiusura il revival post-punk del collettivo svedese Viagra Boys regala l’ultima pillola di improbabile follia, tra Killing Joke, Sleaford Mods e The Fall. Prendete nota.
Pensavamo di averle viste davvero tutte, e invece…

Foto di Chiara Viola Donati (Instagram: @chiaraviolenta)