MERCURY REV, “The Light In You” (Bella Union, 2015)

mercury-rev-the-light-in-you-album-cover-449x449 Gli artigiani dell’indie-rock made in USA sono di nuovo in mezzo a noi. “The Light In You” è infatti il primo album dei Mercury Rev negli anni Dieci e segue, a sette anni di distanza, una bella doppietta di lavori come “Snowflake Midnight” e “Strange Attractor”, ammiccanti all’elettronica e a certo post-ambient rock. Questa volta, all’uscita notturna sotto una morbida coltre bianca i Nostri hanno preferito rifugiarsi nel loro tranquillo mondo fatto di sogni (il riferimento a “All Is Dream” non è puramente casuale). Ne risulta tanto mestiere a scapito dell’effetto sorpresa, per un album riuscito solo in parte.

Parecchie cose sono cambiate dicevamo, e si evince subito dall’apertura di “The Queen Of Swans”: gli arrangiamenti tornati barocchi in un refrain incalzante, ma che sa di già sentito. E “Autumn’s In The Air” conferma questa tesi sin dal titolo. Tempo di una nuova etichetta, con l’ingresso in casa Bella Union (Fleet Foxes, Beach House, John Grant…); tempo di rinunciare al producer dei sogni aka Dave Fridmann, nella line-up della band fino al 1993 ed un palmares dei più invidiabili a livello di collaborazioni. Una scelta per lo meno discutibile, a parere di chi scrive. Si prendano “Amelie” e “Emotional Free Fall”: sono esempi in cui Donahue e Grasshopper giocano la carta della nostalgia, in un tavolo in cui potrebbero vincere a man bassa per le doti e la classe dimostrate in un’intera carriera. Pezzi monotoni, grigi quanto la cover di “The Light In You”. Sia chiaro, non diffido del lato musicale-esecutivo perchè in quello restano incantevoli: è la scrittura stessa che non convince e delude coloro che hanno trovato nei loro dischi motivi di continue sorprese e reinvenzioni. “Are You Ready?” è il classico singolone che ci si può aspettare da loro, carino e immediato, il pop nel manuale dei Mercury Rev.

Proprio il guado di quella canzone è una sorta di lasciapassare ai brani migliori del disco, quelli conclusivi; “Sunflower” riporta ai fasti e alla vitalità di una “Delta Sun Bottleneck Stomp” da “Deserter’s Songs”, mentre “Moth Light” veste l’eleganza dei Lambchop di Kurt Wagner. Ricordiamo volentieri anche l’emozionante “Central Park East”, sei minuti tra delicate chitarre acustiche e synth eterei che promettono bene in vista del ritorno sul palco. Laddove il gruppo di Buffalo saprà senza dubbio riscattare una prova al di sotto della media in una produzione stellare.

58/100

Matteo Maioli