SLEATER-KINNEY, “No Cities To Love” (Sub Pop, 2015)

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“The Woods”, settimo album delle Sleater-Kinney uscito nel 2005, è il disco che tanti gruppi alternative rock vorrebbero saper scrivere per campare di rendita a vita.
E invece Carrie Browstein, Corin Tucker e Janet Weiss, contrariamente alle logiche del mercato musicale, dopo un’uscita discografica di tale livello entrano in un periodo di pausa indefinita. Tutte e tre si dedicano a progetti paralleli : Brownstein diventa autrice – insieme a Fred Armisen – ed attrice della comedy “Portlandia”; Tucker pubblica due lavori da solista e Weiss suona nei Jicks di Stephen Malkmus (ex Pavement).
Ma nel 2013, come se niente fosse, le tre musiciste ritornano a suonare insieme; due di loro, in verità, non avevano mai smesso di farlo: Browstein e Weiss fanno parte del super gruppo Wild Flag.
Ad inizio 2015, però, arriva, il ritorno in studio vero e proprio: “No cities love”, disco seguito da un vero e proprio tour, non solo festival ma anche club.
Si tratta, sicuramente, di una reunion atipica, in fondo le Sleater-Kinney non si sono mai sciolte, si sono solo fermate per qualche anno, prima (forse) di essere travolte da certi meccanismi del mondo discografico. E adesso riprendono il discorso dove l’avevano lasciato a suo tempo : i suoni più heavy di “The Woods” ci sono sempre ma vengono sviluppati e riaggiornati, ne viene fuori un lavoro ben radicato nel presente e che non è un amarcord o rimescolamento dei dischi storici delle riot girrl.

“No cities to love” rappresenta un’istantanea del come suonano le Sleater-Kinney oggi : una batteria e due chitarre che formano una sezione ritmica potente ed esplosiva. Ogni brano è un potenziale singolo pronto per essere trasmesso nelle radio alternative americane e non potrebbe essere altrimenti perché nella struttura dei vari pezzi c’è dinamicità ed equilibrio tra le parti : le costruzioni stese dalle due chitarre creano l’impianto solido ed indistruttibile su cui si sviluppano gli intrecci vocali, che conferiscono ai brani melodia, come nel caso della title track (“No cities to love”).
Le trame dei pezzi hanno un forte impatto sonoro basato essenzialmente sulla valorizzazione di tutte le componenti musicali: la batteria è sempre pulsante e vibrante e le due chitarre sono entrambi protagoniste, ne è un esempio un brano come “A new wave”, dove il suono di una chitarra si differenzia dall’altra, facendo la parte del basso che non c’è.

Il disco è breve e scorre veloce, come capita sempre più raramente. E viene da pensare che le Sleater-Kinney ci abbiano ingannato. Non c’è stata nessuna pausa, le tre “ragazze” sono sempre state unite e la musica di “No cities to love” ne è la prova.

80/100

Monica Mazzoli