Ariel Pink, Locomotiv Club, Bologna, 7 marzo 2015

IMG_2109Un live sfarzoso, pacchiano, irresistibile, circense, kitsch, ma a suo modo sofisticato nel vomitare un mix indefinibile di sonorità del passato recente e remoto. Glam, pop psichedelico, Frank Zappa, gothic rock, synth-pop funky, psichedelia random, piano-bar, cartoon, dark, David Bowie, caciara per il gusto della caciara, momenti world, ma soprattutto canzoni (foto della serata qui).
Ariel Pink è un insieme assurdo di spunti e influenze rielaborati con equilibrio e follia, grazie a un gusto pop e melodico mai offuscato nemmeno dai momenti più estremi. Lo squilibrato e controverso 37enne californiano ha presentato davanti al Locomotiv di Bologna il suo “esordio solista” con gli Haunted Graffiti in formazione più che completa a sei elementi. Altro che karaoke, come si poteva temere dalla cancellazione della dicitura Haunted Graffiti nel suo ultimo pantagruelico e acclamatissimo “pom pom” su cui si è incentrata la scaletta.
L’improbabile ebreo di Beverly Hills si presenta sul palco, lattina di Moretti alla mano, con jersey da college, pantalone bianco da tuta, scarpa viola borchiata con vertiginoso tacco che ne sgrazia ulteriormente i movimenti . Guest star nel suo clan patologicamente borderline di polistrumentisti impeccabili e disadattati, l’australiano Shags Chamberlain (Lost Animal, Pikelet, Krakatau) ai synth perso dietro ai rayban nei suoi viaggi mistici e Jorge Elbrecht alla chitarra. E soprattutto l’inossidabile Don Bolles batterista dei leggendari Germs, in costumino borchiato a due pezzi e stivale di pelle, maestro degli sketch, corista e devastante picchiatore della batteria a doppia cassa.
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Lo spettacolo si sviluppa in un’ora e mezzo ubriacante, con un visual fatto di video amatoriali orridi e Ariel che riesce a dirigere i sei compagni di viaggio, senza un calo di tensione, tra falsetti 80s, devianti rigurgiti 60s e fraseggi più tenebrosi. Fanno il resto il basso dello sciamano senza età Tim Koh insieme ai più pacati e concreti Kenny Gilmore e Joe Kennedy (per Bolles, “il più famoso dei Kennedy sopravvissuti). Tra le nuove, “Lipstick”, “Dayzed Inn Daydreams” e “Picture Me Gone” sono accolte come degli inni dalla non nutritissima platea (ancora una volta, Italia, vergognati!). “Not Enough Violence” e “Dinosaur Carebears” incredibilmente riproposte dal vivo con perizia, in tutti i loro momenti più criminali e nonsense.
Non mancano ripescaggi dal passato in questo deviante musical da reietti di Los Angeles. Si rifiuta di assecondare chi chiede la cover di Donnie & Joe Anderson “Baby”, ma regala la patinata cacofonia da piano bar anni Ottanta di “Life In L.A.” da quella perla psicotica “Worn Copy” (LP d’anta riscoperto e riedito dalla Paw Tracks degli Animal Collective nel 2005). Accendono i presenti i momenti Sixties di “Kinski Assassin” e “Only In My Dreams” (nel bis) da “Mature Themes”. Dal capolavoro “Before Today” sono arrivate invece “Menopause Man” e poi, nel bis, due hit (non presenti nella foto della scaletta) “Bright Lit Blue Skies” e l’anthem “Round and Round”. Una delle canzoni più belle degli ultimi anni, e oltre. Se mai ripasserà dalle vostre parti, non fate l’errore di snobbarlo. Sì, perché, quel biondo strafatto, con l’aria da demente depravato, scrive delle canzoni come pochissimi, al giorno d’oggi, riescono. Uno degli artisti contemporanei più creativi e originali, con una band che pochi possono permettersi. E in più, un sano divertimento che non guasta mai di questi tempi.
L’avete capito, tra i live dell’anno insomma.

Tutte le foto della serata qui.

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