WHITE DENIM, “Corsicana Lemonade” (Downtown Records, 2013)

WHITE-DENIM-CORSICANA-LEMONADE-575x575Il trailer di quest’estate che anticipava l’uscita di “Corsicana Lemonade” colpiva con quel riff assassino, paraculo eppure efficientissimo di “At Night in Dreams”, brano d’apertura del nuovo lavoro dei texani White Denim. Una “Lonely Boy” senza ansia di apparire. A vederli in quello studio di registrazione, rilassati, cazzoni e felici come al solito, il cuore ha iniziato a battere in attesa di ascoltare il proseguo di quel riff che talmente avevano generato aspettative e paure di trovarsi di fronte l’epitaffio di un enorme talento. I Black Keys hanno fatto così e non venite a dirmi cazzate sul fatto che il loro blues ha voluto abbracciare il martellino degli Dei Zeppelin. Loro facevano Blues. Punto. Sporco, garage, suonato come se dovesse essere l’ultima volta. Poi sono arrivati sicuramente i mezzi tecnici, i soldi, la crescita che invece di eccitare ha atrofizzato le idee.

Dopo aver ascoltato per dieci volte questo “Corsicana Lemonade” ancora non ne vengo a capo. Innanzitutto le schermaglie sonore di “ Workout Holiday” sono andate perdute. Le derive psichedeliche di “D” quasi abbandonate. La volontà di riattualizzare il rock di stampo ’70 di “Last Day of Summer” lasciata in un cantuccio a maturare. Qui ci sono solo grandi pezzi. Ed è il limite maggiore del disco. Direte voi che forse sono un po’ pazzo, però in verità ho solo un po’ paura che il quartetto di Austin assoldi un’impiegata sexy e la faccia ballare indemoniata sulle note di “Pretty Green” (I Black Keys che flirtano con il Southern Rock). Poi però c’è la già citata “At Night in Dreams” che scuote che è un piacere, la ballata folk che flirta con il pop per diventare una corsa di chitarre prog in “New Blue Feeling”, il Texas che prende vita nel country-rock di “Come Back” e quel senso di déjà vu che continua a far apparire in tutto il disco la sagoma di John Fogerty fieramente indipendente e non legato alla tradizione.

Ancora non ho capito se questo disco mi piace o no. Però arrivo sempre alla fine per farmi cullare dalla delicatezza di una splendida “A Place to Star”, ballata che tanto ricorda Drake (se esso avesse vissuto in mezzo a praterie e deserti). Quindi sia chiaro, astenersi fighe dagli occhiali da maiale e impiegati dal fisico attempato che vogliono ballare. Questa è una NON-tradizione che vogliamo tenere ben stretta.

65/100

(Nicola Guerra)

18 novembre 2013