Per fortuna un buon disco non si vede dalla sua copertina, e non è la prima volta che capita agli Yeah Yeah Yeahs. Eppure “Mosquito” è il loro primo lavoro destinato a dividere pubblico e critica. Il primo in particolare potrebbe trovarsi spiazzato di fronte ai toni cupi di lunghe tracce ambientali (“Subway”) o agli ammiccamenti al mondo sintetico degli School of Seven Bells (“These paths”). Se il team di produttori Launay-Sitek è lo stesso di “It’s Blitz!”, è il mood della band newyorkese a essere cambiato, a indugiare sull’introspezione e la disillusione, quasi a voler fuggire il passato.
Dopo un primo ascolto vi mancheranno le bombe ad orologeria come “Zero” o “Maps” ma “Mosquito” mantiene comunque un discreto livello qualitativo, a dimostrazione della voglia di osare di Karen O e compagni. “Sacrilege” è l’ottimo biglietto da visita, Best new music di Pitchfork per un gioco delle parti tra sensualità e perdono, grazie al coro gospel in odore di Spiritualized e Primal Scream. Altro brano riuscito e di sicuro appeal è “Slave”, ritmica da dancefloor e un riff di Nick Zinner piuttosto immediato su cui decolla morbida la voce di Karen.
Carisma ed eclettismo della leader ancora più evidenti nella title track, un garage-rock tribale che culmina in un refrain devastante: Siouxsie Sioux e Kim Deal gradirebbero molto. “Area 52” si avvicina ulteriormente al sound alle prime cose prodotte dalla band, senza essere altrettanto incisiva; “Buried alive” se ne distacca appieno, con il suo piglio alla Nine Inch Nails, rap di Dr. Octagon e James Murphy a confezionare il tutto. Non male se paragonato a ciò che segue, un trio di pezzi monocorde e senza sussulti, anche a citare gli eighties. Momenti che sono più nelle corde di altri gruppi e che fanno scendere (seppur di poco) il mio giudizio finale.
69/100
(Matteo Maioli)
8 maggio 2013
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