MIMES OF WINE, “Memories for the Unseen” (Urtovox / Audioglobe, 2012)

Ci sono cose che si capiscono solo da grandi, tipo quanto siano paurose certe fiabe che ci raccontano da bambini: tra tutte, e ognuno di voi avrà le sue alle quali ha dato la colpa delle inconsapevoli ed inconsce paure di “non-più-cuccioli”, io ho sempre trovato agghiacciante la parte di Pollicino in cui l’orco sgozza (sì sì, “sgozza”) le sue sette figlie, e soprattutto il ritrovamento della moglie di Barbablù delle donne senza testa nella stanza chiusa del castello. Ecco, senza addentrarci in ulteriori disquisizioni di psicologia infantile, si può dire che Mimes Of Wine ricrea più o meno involontariamente quelle atmosfere inquietanti, un mondo intero in cui delle “murder ballads” adulte trovano la loro ragione e il loro contraltare nei fantasmi del passato.

L’album, bisogna dirlo subito, è altalenante, e riesce solo a tratti ad essere colonna sonora davvero profonda e sottopelle, come nella ballata gotica “Altars of rain” in cui gli arpeggi di chitarra acustica tessono una tela di Penelope che pare ripetersi in eterno, oppure nel blues malato di “I Will Marry You” che potrebbe essere stata scritta per il miglior Nick Cave, senza considerare quella che è – e lo si è già scritto – un gradino sopra il resto del disco, ovvero “Auxilio”, un pianoforte indicibilmente dolente che ci riporta alle bellezze disperate della PJ Harvey di “White Chalk”.

In altri punti invece Laura Loriga, la frontwoman del progetto Mimes Of Wine, è meno a fuoco, persa nel suo universo spaventevole in cui ci si può davvero smarrire come nell’iniziale “Under the lid” o in “Teethmaker”, ma nonostante questi cali di qualità compositiva la sensazione, trovandosi davanti a “Memories for the Unseen”, è quella di essere al cospetto di un’artista importante della nostra scena italica, artista che può confrontarsi senza alcun timore reverenziale con altri cantautori maledetti esteri e ciò senza considerare che, infatti, la Loriga vive davvero negli States.

Un album non facile, non per tutti i minuti, in cui incunearsi oculatamente per fare un giro nel nostro dark side come quando da bambini ci immergevamo in quel mondo istantaneamente reale che ci veniva raccontato. Senza happy ending, non c’è redenzione o luce in “Memories for the Unseen”, forse la troveremo in futuro nei Mimes Of Wine ma non è ancora giunto il momento.

Per ora è solo tempo di rimetterci a strofinare la chiave sporca di sangue.

68/100

(Paolo Bardelli)

2 dicembre 2012

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