L’ “avanguardia” della dEN Records

Nuova e coraggiosa etichetta d’avanguardia fondata dal sassofonista Stefano Ferrian, dEN offre un catalogo che mescola jazz e sperimentazione, anche elettronica, in una originale veste grafica firmata da Davide Soldarini, sobria ed essenziale, di sapore quasi ascetico e forse un po’ serioso, che, si legge nel sito web, mette al bando le immagini perché la società contemporanea ne è ormai satura.

I numeri 3 e 4 del catalogo vedono la partecipazione del vocalist Claudio Milano, cantante dei Nichelodeon e performer a tutto tondo. “Aurelia Aurita”, che deriva il titolo dal nome scientifico della medusa quadrifoglio, del quintetto The Radiata 5tet si colloca al crocevia fra minimalismo e free jazz: la voce di Milano è qui a tutti gli effetti quinto strumento in campo, tantoché le brevi liriche di Luca Pissavini vengono assorbite e si confondono nel contrapporsi spezzato e paratattico dei fiati – sax tenore, Stefano Ferrian; tromba, Vito Emanuele Galante – e degli archi – violoncello, Cecilia Quinteros; contrabbasso, Luca Pissavini. Le caratteristiche di base dell’esperimento sono indubbiamente interessanti: l’assenza di percussioni, peraltro tipica anche dei Nichelodeon, favorisce il policentrismo e la atomizzazione del discorso musicale, anche perché il contrabbasso non ha qui una funzione strettamente ritmica. In un certo senso si potrebbe parlare di “quintetto dell’incomunicabilità”. La voce non funge da raccordo, i cinque elementi dialogano a folate e seguono percorsi di fredda analiticità scientifica, prefigurati da titoli derivati dalla zoologia delle meduse. E come una medusa si comporta la musica del Radiata, fluttuante e passiva coscienza contemporanea alla deriva, in cerca di una direzione – di una motivazione – autentica. Di questa frammentazione della coscienza “Aurelia Aurita” è specchio abbastanza efficace, anche se forse un po’ irrisolto, nel senso che se la pars destruens, affidata a una strumentazione acustica della tradizione, funziona perfettamente, la pars construens latita un po’. Mi pare insomma che manchi un chiaro tentativo di “ricomposizione”, che, sia ben chiaro, non necessariamente dovrebbe manifestarsi nel segno della “tonalità” o della melodia, ma, ad esempio, nella ricerca timbrica, nella contaminazione, nell’approfondimento delle liriche e del rapporto significante/significato. Qui non sempre le potenzialità di Milano paiono compiutamente sfruttate e aleggia un certo formalismo, anche se non mancano guizzi notevoli, come in “Planula Larvae”, dove i fraseggi di be-bop frantumato sono attraversati da un mantra orientaleggiante, o in “Diploblastic”, una improvvisazione free jazz con accenni quasi operistici nella voce sopranista. Sfugge invece a qualsiasi cerebralismo il dittico morale di “Adython”, che indica nella saggezza dell’antichità classica, nella “sofía” del “conosci te stesso” dell’oracolo delfico, lo strumento per spogliarsi dalle sovrastrutture dell’artificiosa civiltà contemporanea e dell’indigestione mediatica e per riscoprire i valori autentici. Uno sguardo introspettivo – “adython” era la cella segreta, il penetrale dei templi greci – che invita a diffidare delle convenzioni, dei pregiudizi e dei luoghi comuni.

L’incontro di Claudio Milano con gli affascinanti testi della belga Kasjanoova, al secolo Erna Franssens – artista dalla multiforme attività che include musica e arti visive, pittura, grafica e arti applicate – produce uno spettacolo di teatro musicale d’avanguardia in cui la produzione elettronica di Attila Faravelli e Alfonso Santimone, pur non oltrepassando sostanzialmente i confini della musica applicata, crea un cortocircuito straniante con l’ispirazione classica del progetto, tanto da assumere il ruolo dell’esteriorità antagonista. L’invito a ritrovare un’armonia interiore, quasi panica, è rafforzato dalla drammatizzazione naturalistica, misterica e sacrale di Claudio Milano, sensibile più alla interpretazione mimetica che alla pura tecnica. Collabora Stefano Ferrian al sax tenore.

(Federico Olmi)

30 giugno 2012

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