PONTIAK, “Echo Ono” (Thrill Jockey, 2012)

Come nascere stoner, ricalibrare suono ad ogni disco, reinventandosi, aprendo a suggestioni da psichedelia rarefatta, pietra angolare di una cifra stilistica, se non unica, molto personale ed efficace considerando soprattutto l’alveo di genere in cui si è formata. Grandi dischi finora (esordio a parte, forse un po’ troppo canonico) e con “Echo Ono”, colpo di scena, ritorno alle origini, ma in pieno stile Pontiak, ovvero con creatività e personalità al primo posto. Di sorta di ritorno alle origini si diceva, denotato da suoni ricalibrati per risultare più devastanti e potenti – e la partenza con “Lions Of Least” o il martellare di “Left With Lights” sono dichiarazioni d’intenti belle dirette – ma non meno stratificati e peculiari, con bene in mente la volontà di realizzare un disco più improntato alla famosa forma canzone rispetto al passato.

E ad ascoltarli al meglio i pezzi, dal magma che bolle e invia segnali di fumo dal profondo, l’efficace tensione noise/luciferina/gaze (ok, chiedo perdono per questa definizione) di “Maker” e “Living” non è per niente sopita, è solo metabolizzata e incanalata diversamente ((nel motorik metallico e angolare di “Across The Steppe”, ad esempio). E lo è anche quando, esattamente a metà disco, con la splendida “The Expanding Sky”, le melodie si fanno più arrotondate e spuntano un paio di chitarre acustiche a flirtare con l’elettricità, campo in cui la scrittura fa la differenza: slide da brivido e densità sciamanica innervano “Silver Shadow”, “Stay Out, What A Sight” è un profluvio di perizia chitarristica al servizio di musicalità liquida e affascinante, liquidità materica che si espande sino a conclusione.

Uno dei dischi importanti dell’annata.

79/100

(Giampaolo Cristofaro)

27 febbraio 2012

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *