ATLAS SOUND, “Parallax” (4AD, 2011)

Devono avere fatto un patto: un anno tutti insieme, un anno io. Se discorriamo delle ultime quattro annate, è andata così: entrambi nel 2008, poi una ad Atlas Sound, una ai Deerhunter, e così via. E la differenza mica si è sentita poi molto. Se un progetto solista infatti dovrebbe soddisfare una qualche esigenza non esplorata nella band principale, così non è per Bradford Cox.
Il bislungo cantante dei Deerhunter continua in “Parallax” ad introdurci nel suo mondo fatto di stati di incoscienza creativa, di trance estasiatica, in cui molto contano gli effetti a pedale che usa per la chitarra (per l’elenco completo vedere la sua pagina di Wikipedia), anche se sarebbe ingenoroso attribuire valore alle song di Atlas Sound solo per il compendio effettistico. In “Parallax” si ripropone nella sua pienezza pure lo stile di scrittura di Cox, che saltella e si diverte nel fare un Elvis di provincia (“Angel Is Broken”, “The Shakes”) oppure si immerge meditabondo nei suoi altri stati mentali (“Te Amo”, “Modern Aquatic Nightsongs”) come uno strano Edward mani di forbice drogato.

Registrato a New York tra studi di registrazione seri (lo studio di Nicholas Vernhes, che poi anche il produttore dell’album, il Rare Book Room Studios) e studi più “di fortuna” (la sua camera d’albergo), “Parallax” vive di questa ambivalenza di un album che si mostra curato alla perfezione se lo si guarda da alcune angolazioni e maggiormente estemporaneo valutato da altre prospettive. Quello che è certo è che si nota un perfezionamento di eleganza rispetto a “Logos”: se il penultimo disco puntava quasi tutto su una psichedelia totale spinta al massimo e il più onirica possibile, “Parallax” svela una volontà latente di asciugare il suono, o meglio, di perseguire soluzioni più “di classe”.
In questa direzione il brano migliore del disco (ma si è già visto dalle classifiche di fine anno che ognuno ha il suo…) che è, a parere di chi scrive, “Terra Incognita”, una meravigliosa ballad che unisce chitarra e pianoforte lasciandoli fluttuare come in una “You And Whose Army?” di dieci anni dopo, ma anche altre canzoni come “Amplifiers”, “Lightworks”, “Mona Lisa” (la più Deerhunter del lotto). Un discorso a parte va invece fatto sulle due conclusive “Quark Part 1” e “Quark Part 2”, puri esperimenti che però, in maniera lata, seguono le idee sviluppate da Jonny Greenwood nella colonna sonora “Bodysong”.

Non a caso si sono fatte due associazioni con i Radiohead, forse più per buon auspicio ma anche perché Bradford Cox e i suoi Deerhunter hanno, in effetti, punti di contatto con la band di Oxford, tra tutte la capacità di stupire e il raro dono di saper far crescere i loro album ascolto su ascolto.
Dapprima anche “Parallax” si mostrava timido e un po’ dimesso, ma è bastato far passare un po’ di tempo, ascoltarlo bene, accudirlo, ed è diventato quello che è: un profondo ragazzo pieno di fantasia.

78/100

(Paolo Bardelli)

31 dicembre 2011

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