VINICIO CAPOSSELA, “Marinai, Profeti e Balene” (Warner Music, 2011)

Il maestro Capossela trasloca di nuovo il suo armamentario fatto di storie che ondeggiano fra realtà e leggenda fino in fondo all’oceano. Dal bruciare della terra alla quiete del mare, scontrandosi inevitabilmente con mitologiche figure destinate a diventare dei classici della sua produzione musical letteraria. Il senso di questa opera doppia è una individuale presa di coscienza che attraverso parabole e citazioni, tenta di ubicare in un contesto antico l’odierno girovagare insito nell’uomo, che, come un marinaio, affronta indomiti mostri, mondi e imprevisti a lui poco congeniali. Tuttavia, quello che potrebbe sembrare un modo per intellettualizzare i classici della letteratura attraverso la musica (in questo caso la storia della balena Moby Dick di Herman Melville apre le danze di questa fantasmagorica avventura) è in pratica il modo oramai naturale di Vinicio di manipolare le sue conoscenze trasformandole in colorati abbozzi musicaliche descrivono storie di (dis-ordinaria) follia. Non più menestrello attaccato al bourbon e ai tasti di un pianoforte ma capitano coraggioso capace di dirigere una nave colma di musicisti (dal coro degli Apòcrifi al Quartetto Edodea, da Mark Ribot alle Sorelle Marinetti) che lo seguono in qualsiasi direzione il Nostro voglia raggiungere, vento contrario, tempeste e uragani annessi.

Dopo l’oasi solitaria e intima di “Da Solo” il nuovo “Marinai, profeti e balene” lascia a bocca aperta per la straripante densità di contenuti, stili e idee che dalla testa di Vinicio simaterializzano in un ipotetico teatro canzone, simile a un relitto in fondo al mare, da trattare con doviziosa cura. Diciannove canzoni, un “mare” di strumenti classici, antichi e anomali (un pianoforte Seiler coda 1920 accordato quotidianamente, una Lyra cretese, Arpe, Oboe d’amore, Teste di Moro) e un flusso di parole che dosano con saggezza ironia, amore, morte, paura, addii, ritorni, speranze e apocalittiche visioni. Si salpa inconsci di finire nel buio ventre della balena ( “Il grande Leviatano”, testo tratto da “The ribs and terrors inthe whale” di Melville tradotto da Cesare Pavese) e si attracca con la dolcissima “Le Sirene” ove si ode in lontananza una soave voce. In mezzo a questo agitato mare si canta allegri invocando del Rum nella medioevale “L’Oceano Oilalà”, si balla felici e sedotti dal caschetto malizioso della sirena “Pryntyl”, ci si perde nell’abbraccio tentacolare di “Polpo d’Amor”(versione differente ma già edita in passato con Joey Burns e John Convertino dei Calexico) fino ad essere travolti da “La Bianchezza della Balena” e “I Fuochi Fatui” (testi liberamente tratti da Moby Dick) che invocano la paura del bianco colore che illumina la mascella di questo spaventoso e immenso mostro marino. L’oceano è descritto perfettamente in questo primo disco, mentre il secondo cd esplora il lato più crepuscolare e meditativo di Capossela, sempre più a suo agio nello sbilanciarsi in arrangiamenti fuori dal tempo. La delicatezza de “Le Pleadi”, fra gong delle nuvole ed effetti Iceberg, il folk terreno e rurale di “Aedo”, la filastrocca nel carillon de “La Madonna delle Conchiglie” fino all’oriente in odor rinascimental/tropicale di “Calipso”.

Un’opera complessa e affascinante che indurrà nuove leve di marinai e piccole sirene a scrutare con sguardo attento questo immenso capitano dal sangue non solo color del vino ma anche color blu cobalto.
Proprio come il mare.

78/100

(Nicola Guerra)

7 giugno 2011

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