Capone ‘N Noreaga, Leoncavallo (Milano) (14 febbraio 2009)

Di solito a San Valentino ognuno prende la melassa che ha a disposizione e inizia a dolcificare la serata: c’è chi va a cena fuori, chi se l’organizza in casa a lume di candela, chi opta per una di quelle commedie d’amore che infestano la programmazione dei multisala, chi si concede un weekend in qualche città d’atmosfera. Vengono regalati e ricevuti cioccolatini, fiori, anelli. Ci si scambia promesse d’amore eterno, coccole, occhiate infuocate, fluidi corporei.
Io avevo in mente qualcosa del genere, poi mi sono fatto contagiare da quei romanticoni del Leoncavallo e sono andato a Milano a vedermi il concerto della CNN. La CNN?, direte voi. La CNN, vi risponderò pazientemente io. Ma la tivù?, chiederete voi. Noooo, farò io, strascicando la vocale finale nel mentre che roteo gli occhi al cielo. Cristo, ma è mai possibile che vi debba spiegare sempre tutto ?

CNN sta per Capone ‘N Noreaga, duo newyorchese che fa hip hop e che negli anni novanta ha registrato due album: il primo (“The war report”, ’96) è una pietra miliare del genere, un classico; il secondo (“The reunion”, ’99) è molto più che onesto e deve il nome al breve soggiorno in carcere che Capone ha deciso di concedersi nella pausa fra i due LP. L’omonimia con l’emittente di Atlanta non è casuale: si è sempre detto che l’hip hop è la CNN dei neri (motherjones.com) e l’intento dei nostri era quello di raccontare la realtà del ghetto in maniera più onesta, brutale e veritiera di quanto non facessero i media tradizionali. L’altra particolarità della loro cricca è che ogni membro della crew porta il nome di un gangster famoso. Il fatto è che sotto la voce boss mafioso tendono a catalogare un po’ quello che gli pare, compresi generali panamensi (http://it.wikipedia.org/wiki/Noreaga) e dittatori di vario tipo. Perciò è finita che uno dei rapper affiliati alla CNN abbia scelto di chiamarsi Musalini, e non è nemmeno male, e io un po’ ci speravo che se lo portassero al Leonka, anche perché un concerto di Musalini a trecento metri da Piazzale Loreto sarebbe stato da ridere, no?
Comunque. “The war report”, come si può evincere dal titolo e della copertina, è un disco tutt’altro che solare e scanzonato, e diciamo che Capone e Noreaga stanno alle coppiette innamorate più o meno come potrebbero starci Pacciani e Vanni. Per questo, quando mi hanno riferito che per San Valentino c’erano Capone e Noreaga al Leoncavallo, ho pensato solo: geni!, mi sono aggregato alla prima macchinata in partenza e dritti via fino a Milano.

Innanzitutto i miei props agli organizzatori. Il biglietto d’ingresso costa 7 euro e 50 cents, più o meno un terzo di quanto sarei stato disposto a spendere per vedere i due del Queensbridge, e la birra viene 2euro e mezzo: il mio fegato alla notizia inizia a bestemmiare e a invocare pietà, però a me le suppliche mettono una sete terribile e per l’inizio del concerto l’ho già annegato nel luppolo, e ho il sorriso di chi sta per godersi proprio una bella serata.

Solo che c’è un pacco. Innanzitutto Noreaga si è gonfiato, prima era così e ora è così, ecchecazzo, se continua a ingrassare tra un po’ diventerà così e farà la stessa fine di Big Pun e avremo un altro rapper morto. Ma in fondo chi se ne frega della salute e dell’aspetto di Noreaga, a noi interessa la musica. Perciò quando parte il primo pezzo e io e i miei compagni di concerto ci guardiamo terrorizzati: a parte che la base suona malissimo e la cassa della batteria proprio non arriva, quello che ci riempie di sgomento è che sotto le voci di Capone e Noreaga si sente in maniera nitida la traccia registrata delle loro strofe. Ma forse è perché questi sono i pezzi nuovi e sanno anche loro che fanno cagare e non se li ricordano bene e per questo hanno bisogno del playback, ci diciamo non troppo convinti. Poi arrivano anche i pezzi storici (“Invincible”, “All we got is us”, “Bloody money”, “T.O.N.Y (Top of New York)”, “Illegal Life”, “Bang Bang”, “L.A. L.A”) e la situazione peggiora. Se su disco entrambi fanno dell’intonazione uno dei loro punti di forza, e per intonazione intendo che calcano le sillabe di chiusura delle rime e le piantano sui rullanti come chiodi sul muro, il che dà alla strofa un andamento vivace ed energico, dal vivo sono invece di un piattume sconcertante. Prendete Noreaga: inciso ha il piglio di chi ha appena beccato un pischello che gli riga la portiera dell’auto e gli sta spiegando a voce (prima di passare ai cazzotti) che non si fa; live invece si esibisce in una cantilena fiacca e monocorde, che se la sente il pischello c’è il caso che gli spacchi pure il vetro. Non è che non arriva col fiato a chiudere le strofe, come tutto sommato può capitare: non riesce nemmeno ad aprirle, ad imitarsi per un po’, sembra che un altro mc stia cantando degli altri pezzi, tra l’altro schifosi.

A far lievitare ulteriormente l’incazzatura contribuiscono poi alcuni particolari: innanzitutto i due si fumano dei gran cannoni e bevono liquore come se fosse acqua minerale, il che andrebbe bene se stessero effettuando una performance dignitosa, ma visto che stanno facendo schifo sa un po’ di presa per il culo nei confronti di chi ha pagato (per fortuna poco) il biglietto. Poi, dato che c’hanno il playback sotto, non si prendono nemmeno la briga di farsi i raddoppi. Addirittura Capone, durante i pezzi da solista di Noreaga, se ne va dal palco per poi ritornare dopo una ventina di minuti. Infine, protraggono la tortura per un tempo che a me sembra infinito: avranno fatto quasi due ore di live, che a dirlo sembra una cosa figa, ma vi giuro che a metà live anche Papa Ratzinger avrebbe chiesto di staccare le macchine e decretare la morte di quell’aborto di concerto. Ogni tanto Noreaga si guardava attorno con l’aria di chi sa che sta facendo una figura di merda, ma visto che nessuno lo fischiava e anzi sembravano tutti presi bene ha fatto finta di nulla e ha continuato a cantare. Unica nota positiva: il sosia di Carl Winslow, vestito da marinaretto, che era probabilmente a seguito dei due e se n’è restato tutto il tempo sul palco, di fianco al deejay, con un’espressione tenera e impacciata. Per me era Musalini.