IKEA-POP vol.8 – Rock wanna grow up to be a Debaser

Dove sono finite le chitarre elettriche? È questa una delle riflessioni più ricorrenti nell’approfondimento dello sterminato panorama musicale svedese. Nella terra che fino a un decennio fa si faceva conoscere fuori dai confini scandinavi per le filiazioni più truci del metallo dal death metal di Dark Tranquillity, Katatonia e In Flames al black dei Dark Funeral, passando per il metallo progressivo di Opeth e Pain Salvation a quello dalle venature più sperimentali degli inossidabili Meshuggah. Nella terra che ha dato i natali agli Europe e al guru del virtuosismo sborone heavy, il signor Yngwie Malmsteen, i metallari stessi sembrano una specie in via d’estinzione. Quando si ha la fortuna di incrociarli per strada viene quasi voglia di fotografarli, soppiantati persino dagli emo oltre che dagli indie. Tutta colpa della H&M generation? Forse. Fatto sta che, al di là del metal di cui si può sentire più o meno la mancanza, risulta effettivamente difficile scovare dei prodotti che si discostano dal classico pop indipendente fatto di coretti, chitarre acustiche e arrangiamenti orchestrali. Per trovare dei suoni veramente ruvidi c’è da faticare non poco dopo l’esplosione dei due fenomeni nazionalpopolari ormai in declino quali The International Noise Conspiracy e The Hives.

Il tempio dell’underground svedese, il famigerato Debaser di Stoccolma (che ha una filiale anche nel sud, a Malmö) ha due sedi nella capitale. La minore, il Debaser Slussen, dà l’idea di un CBGB scandinavo. Pareti basse, location suggestiva e inusuale, ricavata com’è dagli scantinati del ponte che dalla città vecchia porta a Södermalm, il quartiere alternativo della capitale. Ed è qui, letteralmente sotto il tiepido viavai di auto e bus, che nei weekend il club Fritz’s Corner prova a dare un’impronta garage alle serate quasi a far riscoprire il fascino della chitarra distorta.

Così capita di ascoltare, di supporto allo schizzato electro-punk dei californiani Alavan, i City Cut (myspace). Reduci dai quindici minuti di celebrità warholiani grazie all’equivoco che per qualche settimana li aveva trasformati negli gli Interpol del terzo album quando nei vari p2p iniziava a girare “Our Love To Admire” (le prove sono ancora online, su youtube dove la loro “Such Verve” è ancora etichettata sotto il nome di Interpol). La band divisa tra Goteborg e Malmö, la città della loro influente etichetta, la psichedelica Deleted Art (www.deletedart.org) protagonista del lancio degli americani Indian Jewelry e No Age, non a caso rimanda al post-punk cupo dei più famosi newyorkesi sopra citati. L’esordio “Exit Decades” non sarà niente di eclatante a livello di originalità e innovazione vista la parallela esplosione di decine di fenomeni inglesi e statunitensi dello stesso genere, ma il tiro dal vivo non manca, non privo di un piglio garage poco svedese. Poco svedese quanto la loro memorabile frase di presentazione Talking Shit While Eating Shit Since 2002.

Cut City – Like Ashes, Like Millions

Così me capita di imbattersi in un’affollatissima serata nonostante l’apparentemente scarsa notorietà delle band, nella risposta svedese agli Editors, per inevitabile par condicio con gli Interpol. Non serve un orecchio particolarmente attento per ricondurre alla band di Birmingham gli I Are Droid (myspace) al debutto l’anno scorso con “I Are Debut” dopo il buon successo del secondo singolo “Blood & Ether” (youtube) Melodie piuttosto furbe, incursioni sintetiche in odor di U2, o se preferite di Echo & the Bunnymen, e bassi poderosi a riempire il resto degli spazi. Meglio dal vivo (youtube) che su disco dove il suono è un po’ troppo plastificato e piacione.

I Are Droid – Time On Time

Sono invece passati piuttosto recentemente dalla sede maggiore del Debaser i Sad Day For Puppets come spalla agli MGMT. All’esordio quest’anno con “Unknown Colours” (ascoltabile per intero su last.fm), uno dei lavori più validi di questo 2008 svedese, i quattro vengono da Blackeberg, il sinistro sobborgo a ovest della capitale scenario del suggestivo horror indipendente di recente nelle sale italiane, “Lasciami entrare” di Tomas Alfredson. La loro proposta musicale è un’avvolgente power-pop dai connotati vagamente dark e shoegaze. L’intensa voce di Anna Elklund si adagia su atmosfere care a Mazzy Star e Slowdive, con arrangiamenti rumorosi ma meno eterei. Pensate alla risposta svedese ai vicini danesi Raveonettes o se preferite ai Cardigans che rifanno i My Bloody Valentine. Da non perdere “Mother’s Tears” (myspace) che non sarà un singolo ma suona già come un classico.

Sad Day For Puppets – Cherry Blossom

Non se la passa peggio la Svezia neanche quando si parla di rock nella sua accezione postuma. Gli EF (myspace) quartetto di Goteborg che aveva esordito con successo tre anni fa con il promettente “Give Me Beauty…Or Give Me Death” seguito da “I Am Responsible”, altro must nazionale del 2008 e comunque tra i più riusciti prodotti in un’ottica internazionale per un genere, il post-rock, che recentemente sembra aver detto tutto ciò che c’era da dire. Emotions, Explosions, Energy, è la loro efficace descrizione su myspace, si ascolti “Appendix” (youtube) per coglierne a pieno l’efficacia. Poco altro da aggiungere, i riferimenti sono i soliti, da A Silver Mt. Zion agli inevitabili rimandi ai Mogwai, più o meno esplicitamente tributati in “Hello Scotland” del primo album. Cinematografici, ambientali, romantici, lasciano decisamente il segno.

EF – Hello Scotland (live)

Altro gruppo post-rock di cui sembrava essersi persa traccia è il promettente collettivo degli Our Last Hope Lost Hope, progetto realizzato insieme a otto musicisti dai misteriosi AW e DB della The Elysian Minor Band. Era il 2003 e i ventotto I’m From Barcelona erano ancora lontani dal contendere loro il titolo di band di Svezia col più alto numero di componenti. Le sei suite cariche di pathos e sfoghi drammatici che li avevano fatti conoscere al di fuori dei confini nazionali sono ancora ascoltabili per intero qui. Pare che qualcosa si stia muovendo in studio per dare un seguito all’intenso LP d’esordio. Sempre che nel frattempo l’indie-pop non sia diventato definitivamente musica di stato.

Debaser Slussen
Debaser Slussen, Stoccolma

 

(Piero Merola)

 

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