DANIEL MARTIN MOORE, Stray Age (Sub Pop, 2008)

Un sole stilizzato che si affaccia generoso sul mare, contornato da un blu freddo che dà l’impressione di scaldare più di un fuoco acceso nel camino: il disegno sulla copertina di “Stray Age” riassume forse meglio di mille parole l’anima genuina di Daniel Martin Moore, cantautore e spirito libero da Cold Spring, Kentucky.

In un mondo che è ormai tremendamente complicato, alla mercè di oscuri sistemi economici e finanziari che prima o poi falliscono diffondendo pazzie globali e comandato da una tecnologia ribelle che avanza inesorabile, c’è ancora spazio per qualcuno che ha voglia di scavare dentro se stesso in modo talmente semplice da risultare, di questi tempi, quasi rivoluzionario.

Se ne sono accorti subito quei geniacci della Sub Pop, che hanno scelto proprio il demo di Daniel Martin Moore tra le migliaia di proposte che quotidianamente intasano le loro caselle di posta. E così, in men che non si dica, una giovane vita può cambiare: da cameriere in un un bed & breakfast ci si può trovare a cullare il sogno di fare il musicista professionista, con alle spalle un gran bel disco ed un solido contratto, firmato con una delle etichette discografiche più famose a livello internazionale.

“Stray Age” è una raccolta di canzoni intime, quasi essenziali nella loro semplicità, che hanno il merito di accompagnare l’ascoltatore in un nido confortevole scavato fuori dal tempo, un rifugio sicuro dover potersi leccare con la dovuta tranquillità tutte le ferite di un’anima sconvolta dalle ordinarie scene di pazzia quotidiana.
Il folk raffinato e mai fuori misura di Daniel Martin Moore riporta di getto alla mente quei capolavori di artisti celebrati come Nick Drake, Tim Hardin e John Martin: le sue sono canzoni scarne, quasi minimali nella loro semplicità, ma mai vuote. Vi dirò di più: a mio modesto avviso lo spessore artistico e la profondità di questo disco sono talmente elevati da non poter essere colti appieno con un semplice ascolto distratto.

“Stray Age” punta dritto al cuore e lo fa grazie a canzoni costruite con un’eleganza e una classe cristalline, sorrette da una voce suadente, ricca di sfumature, che concilia amabilmente alla riflessione.
In mezzo a tutta la confusione che ogni giorno gli girava attorno, Daniel Martin Moore è riuscito a costruire un rifugio cordiale e sicuro per anime in cerca di benedizione: ha fatto la cosa giusta al momento giusto, con una semplicità disarmante.

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