DEVENDRA BANHART, Smokey Rolls Down Thunder Canyon (XL Recordings, 2007)

Devendra Banhart deve scontare, per forza di cose, il confronto coi due capidopera del folk (aggiungeteci indie se siete dei maniaci delle etichette) del 2000: “Rejoicing In the Hands” e “Nino Rojo”, pubblicati simultaneamente 3 anni fa e dai quali erompeva un esuberante eccesso di talento che un solo disco non riuscì a contenere.

Difficile per chiunque ripetersi quando si ha alle spalle un (quasi)esordio di siffatte proporzioni e, infatti, è “Cripple Crow” il punto di riferimento di questo “Smokey Rolls Down Thunder Canyon” che inizia con tre tracce che sembrano la normale prosecuzione del disco precedente.
Il risultato dell’ascolto, fino a questo punto, resta comunque gradevole nonostante lui gigioneggi al limite dell’autocitazione; comincia però a incunearsi nell’ascoltatore l’interrogativo sulla necessità di questo album alla luce del glorioso passato.

Non basta a far cambiare idea l’architettura della quarta canzone: al centoventesimo secondo di “Seahorse”, dopo un arrangiamento minimale di chitarra e organo che accompagna la litania sussurrata dal nostro, irrompe l’arrangiamento jazz che pare arrivare direttamente dalla celeberrima “Take Five” di Dave Brubeck e che conduce il pezzo per altri quattro minuti, quando echi di rock distorto provenienti dai seventies, lo accendono fino a un dissolvendo nella nenia iniziale.

“Seahorse” resta il brano migliore di questa nuova uscita che prosegue con incedere un po’ stanco e fa emergere non pochi dubbi sulla qualità delle idee usate per confezionarla; tra psichedelia appannata e incerta, noiose ballate prive di pathos alternate a certaltre più o meno riuscite, esplosioni pacchiane dello status da comune che il nostro pare abitare (“Tonada Yanomaminista” “Lover”) scimmiottamenti Belafontiani (“Shabop Shalom”) e intrusioni nel gospel (“Saved”). Il tutto ci appare però poco amalgamato e usato a mò di riempitivo più che il risultato di una contaminazione cosciente e ispirata.

Due parole le merita l’artwork composto da un booklet di una sessantina di pagine rilegato nel formato del cd in cui si alternano i testi scritti a matita, i disegni dell’autore e alcune foto di gruppo esplicative dell’ambiente di cui questi si circonda.
Nelle ultime due pagine, infine, la lista della moltitudine di collaborazioni, a volte anche curiose, di cui si avvale l’autore per la stesura dell’opera: si va da Vashti Bunyan (voce in “Seahorse” e “My Dearest Friend”) a Chris Robinson dei Black Crowes (charango in “Samba Vexillografica”) fino a Gael Garcia Bernal attore messicano protagonista ne “La Mala Educaciòn” (voce in “Cristobal”).

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