Devendra Banhart deve scontare, per forza di cose, il confronto coi due capidopera del folk (aggiungeteci indie se siete dei maniaci delle etichette) del 2000: “Rejoicing In the Hands” e “Nino Rojo”, pubblicati simultaneamente 3 anni fa e dai quali erompeva un esuberante eccesso di talento che un solo disco non riuscì a contenere.
Difficile per chiunque ripetersi quando si ha alle spalle un (quasi)esordio di siffatte proporzioni e, infatti, è “Cripple Crow” il punto di riferimento di questo “Smokey Rolls Down Thunder Canyon” che inizia con tre tracce che sembrano la normale prosecuzione del disco precedente.
Il risultato dell’ascolto, fino a questo punto, resta comunque gradevole nonostante lui gigioneggi al limite dell’autocitazione; comincia però a incunearsi nell’ascoltatore l’interrogativo sulla necessità di questo album alla luce del glorioso passato.
Non basta a far cambiare idea l’architettura della quarta canzone: al centoventesimo secondo di “Seahorse”, dopo un arrangiamento minimale di chitarra e organo che accompagna la litania sussurrata dal nostro, irrompe l’arrangiamento jazz che pare arrivare direttamente dalla celeberrima “Take Five” di Dave Brubeck e che conduce il pezzo per altri quattro minuti, quando echi di rock distorto provenienti dai seventies, lo accendono fino a un dissolvendo nella nenia iniziale.
“Seahorse” resta il brano migliore di questa nuova uscita che prosegue con incedere un po’ stanco e fa emergere non pochi dubbi sulla qualità delle idee usate per confezionarla; tra psichedelia appannata e incerta, noiose ballate prive di pathos alternate a certaltre più o meno riuscite, esplosioni pacchiane dello status da comune che il nostro pare abitare (“Tonada Yanomaminista” “Lover”) scimmiottamenti Belafontiani (“Shabop Shalom”) e intrusioni nel gospel (“Saved”). Il tutto ci appare però poco amalgamato e usato a mò di riempitivo più che il risultato di una contaminazione cosciente e ispirata.
Due parole le merita l’artwork composto da un booklet di una sessantina di pagine rilegato nel formato del cd in cui si alternano i testi scritti a matita, i disegni dell’autore e alcune foto di gruppo esplicative dell’ambiente di cui questi si circonda.
Nelle ultime due pagine, infine, la lista della moltitudine di collaborazioni, a volte anche curiose, di cui si avvale l’autore per la stesura dell’opera: si va da Vashti Bunyan (voce in “Seahorse” e “My Dearest Friend”) a Chris Robinson dei Black Crowes (charango in “Samba Vexillografica”) fino a Gael Garcia Bernal attore messicano protagonista ne “La Mala Educaciòn” (voce in “Cristobal”).