RAMONA CORDOVA, The Boy Who Floated Freely (Sleeping Star, 2006)

Ci risiamo. L’ennesimo sciroccato del nuovo folk. Una scena che, guidata da Sua Maestà la Grande Incompresa Vashti Bunyan, ha dettato nuove regole di purezza e di voci particolarissime alla musica di questi anni, e i capolavori non sono neppure mancati: basti pensare agli incanti di Joanna Newsom o al prezzemolino Devendra, più onnipresente di Elisabetta Canalis tra le pagine dei tabloid.

Però, ecco, non tutto quello che odora di folk stralunato deve per forza passare come una meraviglia: l’esordio di Ramona Còrdova, ad esempio, è tutto meno che un colpo di genio. Dotato (?) di una voce fastidiosa come poche – un continuo, strozzato lamento androgino – Ramòn ha costruito una favola e l’ha spezzettata in undici parti sonore, raccontando la storia di Giver, del suo naufragio, di amori e pozioni magiche: peccato che, per quanto bella sia la favola, tanto siano inconsistenti le canzoni. Gradire un timbro di voce così particolare è senz’altro questione di gusti personali, ma non è quello il punto: il fatto è che tutte le canzoni sono costruite in maniera identica, con una sequenza di due-tre accordi in arpeggio ripetuti all’infinito, e il canto che svolazza sulle note come una farfalla intossicata.

Musicalmente, in questo disco non c’è altro. E, se si è irritabili, davanti all’ennesimo campionamento del cinguettio di passerotti, o al centesimo falsetto strozzato, viene semplicemente voglia di togliere il cd dal lettore e lasciarlo per sempre nella custodia, arricchita da un artwork davvero prezioso; l’unico momento che si differenzia dal resto è “Giver’s reply”, con quella batteria fuori fase che la fa assomigliare a una canzone dei Folk Implosion cantata da Devendra Banhart. Un po’ poco, per sprecare parole come “genio” e “capolavoro”, non trovate?

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