BARBARA MORGENSTERN, The Grass Is Always Greener (Monika / Wide, 2005)

Da appassionato di tennis, avevo una passione insana per Steffi Graf. Adoravo il suo servizio meccanico, quel diritto sparato da ogni angolo che assomigliava a un gancio devastante e che compensava il suo rovescio liftato, zoppicante e velenoso. E mi piaceva moltissimo sentirla parlare: una voce calda, sposata alla perfezione con la sua lingua piena di spigoli e capace di improvvise dolcezze. E ricordare le interviste di Steffi Graf mi ha riportato a una lingua dura, ma carezzevole che, in fondo, ha molto in comune con il glitch-pop: geometrica e razionale, ma con una musicalità tutta sua; ecco come mai le canzoni di Barbara Morgenstern non sono così ostiche come i titoli potrebbero far pensare, e sono invece la perfetta via di fuga alle secche in cui il pop tedesco è andato ad incagliarsi.

Al quarto album solista, e archiviata la collaborazione con Robert Lippock dei To Rococo Rot (con una splendida, estatica apparizione a Frequenze Disturbate 2005 sotto il diluvio universale, con Barbara che sorrideva danzando felice dietro al suo laptop), la scrittura della Morgenstern è arrivata a una solidità incredibile: “The grass is always greener” è la casa di dodici canzoni classiche, guidate quasi sempre da un pianoforte gentile, una voce soffice e poco appariscente, e con lievi venature digitali a rendere tutto più prezioso.

Più che ai Lali Puna o a Ms. John Soda, paragoni naturali per una voce femminile tedesca coccolata dalla scena electro, viene spesso da pensare a una versione più serena della prima Tori Amos: basta ascoltare il pianoforte soave della title-track, o il modo in cui le dita di Barbara aprono la melodia in “Polar”, per capire che “The grass is always greener” è un album di una cantautrice, per quanto moderna, per quanto sottovalutata.

Melodie appena sfiorate da una chitarra elettrica (“Alles was lebt bewegt sich”), immersioni in un lago di bleeps (“Ein paar Sekunden”) o impennate momentanee in territori cari ai New Order (“The operator”) sono gli abbellimenti di un album sorprendente, guidato da tasti bianchi e neri e da una voce che sorride piano.

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