BARZIN, My Life In Rooms (Monotreme, 2006)

Ed eccolo qui. Sto parlando del cantautore elettro-acustico post-moderno. Quello che oltre a suonare la chitarra, usa una voce filtrata un po’ shoegaze e monta un palco di strumenti che vanno dalle drum-machine alle steel-guitar passando per delicati tappeti di tastiere analogiche e rarefatte atmosfere minimali da crepuscolo estivo. Questa figura si ripropone con cadenza periodica e, sorprendentemente, riesce ancora a non suonare noioso. Prendiamo questo Barzin, ad esempio. Non ha nulla di più e niente di meno di altri autori del genere come, ad esempio, Finn. Ma non c’è nulla che non funziona nella sua musica e certi arrangiamenti trovano sempre un terreno fertile, quando sono supportati da una buona scrittura. Sulla scia di una scuola musicale ormai ben definita, “My Life in Rooms” si propone come ispirato abbecedario di questo promettente cantautore. Un po’ Mark Linkous, un po’ Galaxie 500, un po’ Mojave 3. Slow-core per anime in pena. Folk del nuovo millennio per adolescenti introversi. Sempre uguale ma sempre diverso. Un piccolo grande disco che chiede solo di essere ascoltato.

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